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Chi è Epifani, il Trotzky dei sindacati che guidò la piazza contro Berlusconi

Socialista, scelse la Cgil e attirò le punzecchiature di Cisl e Uil. Un sindacalista guiderà il Pd: il mondo alla rovescia

Giulio Bucchi
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  di Andrea Morigi Nella memoria di Stefano Menichini, direttore del quotidiano Europa, Ettore Guglielmo Epifani rimarrà per sempre «il segretario dei poligrafici» della Cgil. Tanto per dire che la «larga convergenza» sulla candidatura dell'esponente sindacale alla segreteria del Pd si dovrà confrontare con il mito della cinghia di trasmissione. A parti invertite, nel senso che ora l'azionista di maggioranza del centrosinistra è il sindacato, mentre ai tempi del Pci era il partito a decidere. Cambia poco per chi ritene necessaria l'autonomia, o almeno la distinzione, fra i due ambiti. Il segretario designato, nel precedente periodo di transizione che lo aveva condotto dalla segreteria generale della Cgil al partito e prima di indossare i panni del traghettatore, si era aperto un profilo twitter in cui si presentava come «capolista a Napoli nelle liste del Pd per la Camera». Posto blindato, che gli aveva ovviamente garantito l'elezione alle ultime politiche. Così, senza far troppa fatica, si era potuto permettere di condensare il proprio credo in 23 brevi messaggi, gli ultimi datati 11 febbraio, in cui individuava il limite della campagna elettorale nell'aver «parlato quasi solo di fisco mentre il cuore del problema è il dramma del lavoro», e a suo avviso servono «credito, leva pubblica per gli investimenti, allentamento patto stabilità interno, incentivi fiscali per stabilizzazione lavoro». Fra le misure «da fare subito: pagamento pa (pubblica amministrazione) alle aziende creditrici, soluzioni per gli esodati, rifinanziamento cassa integrazione». Quanto alle possibili alleanze, sembrava augurarsi un monocolore rosso poiché «i partiti personali e i movimenti di pura protesta rendono più fragile il sistema democratico, proposte Grillo sarebbero disastrose». Stile epigrafico più che telegrafico, com'è nella realtà il personaggio, nato a Roma nel 1950. Non un grande oratore. Anzi, è un intellettuale, pacato nella conversazione come si addice a un laureato in filosofia. In realtà, prediligeva più l'ideologia rivoluzionaria della speculazione, come testimoniano la sua tesi su Anna Kuliscioff e i successivi studi su Bruno Buozzi. Perciò lo avevano assunto alla Esi, casa editrice della Cgil e, benché fosse iscritto al Psi, nel 1974 lo avevano messo a capo della struttura, per poi introdurlo nell'apparato e condurlo fino alla carica di segretario generale aggiunto nel 1992. Era il posto occupato fino ad allora da Ottaviano Del Turco. Si sarebbe fermato lì, se con il tramonto di Bettino Craxi non si fosse iscritto ai Ds. Lo aveva già individuato Massimo D'Alema, immaginando per lui un ruolo da responsabile dell'organizzazione. In realtà gli si stava aprendo una carriera all'ombra di Sergio Cofferati, a cui sarebbe succeduto nel settembre 2002 e fino al 2010.   Non che fosse un gran lavoratore. E non lo è diventato nemmeno più tardi, a giudicare dalla sua attività parlamentare, che nella presente legislatura conta 0 (zero) proposte di legge, nemmeno come cofirmatario, a dispetto delle urgenze dichiarate in campagna elettorale. Martedì scorso, tuttavia, lo avevano eletto presidente della commissione Attività produttive, commercio e turismo. Tutto merito del nomignolo che gli avevano affibbiato i colleghi della Cisl Raffaele Bonanni e della Uil Luigi Angeletti: Lev Trotzky. Lo avevano accusato, nel 2008, di aver provocato la rottura dell'unità sindacale della Triplice, con il rifiuto di firmare un accordo sul modello contrattuale con il governo guidato da Silvio Berlusconi.  Per Epifani, invece, gli altri due sindacati erano responsabili di «collateralismo» con il centrodestra e di «tendenze neocorporative». Da allora, si era proceduto a intese separate, che erano culminate nel 2010 nell'accordo di Pomigliano, raggiunto fra la  Fiat da un lato e la Uilm, la Film e la Fismic Ugl dall'altro, con l'esclusione della Fiom Cgil. Una raffica di sconfitte per il più grande sindacato italiano, che aveva fatto appello alle piazze ma si era trovato ormai isolato e relegato al ruolo di custode dell'ortodossia ideologica proprio per il fallimento della segreteria di Ettore Guglielmo Epifani. Colui al quale ora il Pd si affida, nella prospettiva di finire come la Cgil, anzi nelle mani della Cgil.    

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