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Fedele Confalonieri, l'imprenditore che si fece pianista

Nicoletta Orlandi Posti
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Conobbi Fedele Confalonieri nel 2007. Era il 16 luglio, pomeriggio torrido. Verso le tre ci trovammo da Trussardi alla Scala con Tiziano Poli, per andare ad ascoltare il presidente di Mediaset che preparava il diploma di pianoforte. Poli era (ed è) il suo incredibile insegnante: provi chiunque a risolvere i problemi tecnici, e dunque fisici, di chi affronti certe partiture in là con gli anni e mi sappia dire. Per quell'audizione privata al Circolo filologico milanese erano presenti pure Ruggero Laganà, pianista e clavicembalista di gran vaglia, e un collega di cui ricordo bene il volto e la notevole cultura ma purtroppo, adesso mentre scrivo, non il nome. Confalonieri arrivò con Gina Nieri e Mauro Crippa. Salutò tutti, tirò fuori gli spartiti, chiese di togliersi la giacca per il gran caldo, fece un piccolo sospiro e attaccò. Sapevo da Tiziano la lena, la passione e il talento coi quali s'applicava a uno studio ufficialmente interrotto cinquant'anni prima per dedicarsi notoriamente ad altro. Però non immaginavo un uomo di tal carisma che all'alba di settant'anni non solo affrontasse l'esame pianistico di stato, ma lo facesse con un programma enorme: la Sonata Appassionata di Beethoven, la Fantasia op.17 di Schumann, i Quadri di Musorgskij e la Rapsodia op. 119 di Brahms. Roba seria, che non offre scorciatoie. Impressionanti erano la mole e la qualità del lavoro che aveva affrontato a un'età che non risparmia difficoltà articolari a nessuno, figuriamoci a chi per mezzo secolo s'era dedicato a tutt'altro che studiare regolarmente il pianoforte. Suonò alla grande e io rimasi a bocca aperta per un po', timoroso com'ero stato di trovarmi innanzi un uomo di grandissimo successo che si fosse messo in testa non dico l'impossibile, ma insomma. Due mesi e mezzo dopo, a inizio ottobre, il Confa si diplomò con un voto che in tutta onestà avrebbe dovuto essere più alto.  Quella sera di luglio, cenando al Boeucc di piazza Belgioioso, sedemmo vicini e parlammo a lungo. Gli chiesi quando studiasse, visti gli impegni. «Tutte le mattine un'ora, prima d'andare in ufficio. Poi, il sabato e la domenica, anche tre o quattro. Perché vede, a essere il presidente di Mediaset uno potrebbe montarsi la testa. Invece così, cominciando la giornata con questi capolavori, ci si ricorda che i geni sono altri». Fu la lezione più inaspettata e intensa mai avuta d'amore per la musica e la bellezza caleidoscopica del mondo, della storia e della vita. Da allora l'ho incontrato molte volte, e non una che non abbiamo parlato del pianoforte, dell'interpretazione, di questo e quell'autore o quell'artista. Un paio di mesi fa, a Celano per la Festa del 2 giugno, il ministro Quagliariello mi disse a tavola che tanti non immaginano neanche quante volte Confalonieri abbia salvato la Repubblica, nel senso dello Stato. Sul Corriere della Sera di ieri, per la manifestazione di domenica in Via del Plebiscito, Tommaso Labate ha titolato che «Alfano e Confalonieri fermano il blitz dei falchi» e la tentazione di andare in piazza coi ministri, la quale ipotesi anche per me sarebbe stata una catastrofe. Di Alfano taccio, perché sapete cosa penso e sennò sembra la questione personale che non è. Ma di Confalonieri non ho dubbi, per quella sua lezione che continua. Oggi compie gli anni: sono 76 e l'abbraccio forte, con l'augurio di tanta e tanta musica. Per lui, certo. Ma quasi più ancora per l'Italia. Nazzareno Carusi @NazzarenoCarusi

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