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Sergio Marchionne, le urla e i pugni sul tavolo: la sua morte e il dramma in Ferrari

Davide Locano
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La morte di Sergio Marchionne pesa. Tantissimo. Per Fca, certo. Ma anche per la Ferrari di cui era presidente e alla quale avrebbe voluto dedicarsi in via esclusiva. Il sogno del manager era quello di riportarla al successo nel mondiale piloti che manca dal 2007, quando vinse Kimi Raikkonen. Questa sembrava la stagione buona. Potrebbe sembrarlo ancora, ma dopo le ultime gare l'impresa si è fatta assai più difficile: troppi errori di Sebastian Vettel e ora, Lewis Hamilton con la sua Mercedes, ha un vantaggio cospicuo. E in un momento come questo, Marchionne, sarebbe servito più che mai. Leggi anche: Marchionne, il retroscena: perché ha nascosto la malattia ad Elkann Già, perché il gioco si sta facendo durissimo, con accuse neppure troppo velate rivolte dalla Mercedes alla Ferrari su presunti "trucchetti" per far andare più veloce la macchina. E non solo: anche in pista, tra le rosse e le frecce d'argento sono sportellate su ogni circuito. E Marchionne aveva la fame di duro, era uno che alzava la voce e in Federazione si faceva sentire, eccome. Adesso toccherà a Maurizio Arrivabene farlo. Di sicuro, per la prima volta da anni a questa parte, la Ferrari non potrà più ripararsi dietro allo scudo-Marchionne, uno che sapeva dove, come e quando sbattere i pugni. Ecco perché, per la Ferrari, la scomparsa di Marchionne è una doppia disgrazia.

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