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Giovanni Floris, da DiMartedì ai romanzi: "L'Invisibile" e l'inganno di Internet

Giulio Bucchi
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È sempre, in fondo, una questione di ingredienti, quasi come partire all' arrembaggio del palinsesto televisivo con un programma di successo. Prendete Tolstoj quando diceva che ogni famiglia è infelice a modo suo, o uno qualsiasi dei grandi scrittori "familiari" del 900; fategli ingoiare libri dei giallisti Robert Bloch o Paula Hawkins, e dosi massicce di serie tv americane dalle caligini noir; mescolate con molta cronaca e un pizzico di politica; e osservate il tutto dall' occhio di una cinepresa immaginaria («un solo occhio che guarda e rende falsa ogni cosa»). Ed otterrete L'invisibile, l' ultimo romanzo che Giovanni Floris, tra un DiMartedì e l' altro, ha appena sfornato per Rizzoli .Ora, io sono un po' di parte. Sono un lettore di Floris della prim' ora, e non solo per affettuosità giornalistica. Lo sono sin da quando vergava saggi di profumo economico o - da figlio di insegnante - in difesa appassionata della scuola. Quando, in seguito, Giovanni è passato ai romanzi mi sono fatto il segno della croce, e ho subito pensato - senza fare insulse analogie - al grande cronista americano Abbott Liebing quando sospirava sull' amico Albert Camus: «Ecco, ne abbiamo perso un altro, un altro grande talento giornalistico sprecato nella narrativa». Poi ho ingollato La prima regola degli Shardana e Quella notte sono io, i due romanzi di Floris sull' amicizia. E ho dovuto ammettere la sua capacità di raccontare storie avvincenti in uno stile semplice, talora ironico, con innato senso cinematografico. Thriller psicologico - Caratteristiche presenti anche ne L' invisibile, un "thriller psicologico" (nelle prime pagine sbuca, pereesempio una citazione da Blade Runner "ho visto cose", nelle ultime da Il giustiziere della notte col gesto della pistola) che, però, rispetto ai libri precedenti, parte da tutt' altri presupposti. Ci sono i due protagonisti, Antonio e Fausto Maria, l' uno il contrario dell' altro. Il primo è un giornalista disadattato, di sinistra che odia il Pd, deluso dai 5Stelle costretto a campare anche scrivendo tesi di laurea per uno di CasaPound; è sempre connesso alla Rete a causa del suo sito Notizievere.com, in cui gode come un riccio a sfruculiare nell' intimo dei vip. Il secondo vive alla grande come imprenditore famoso, titolare di famiglia perfetta, probabile candidato sindaco con aspirazioni politiche da Presidente del Consiglio. I due si conoscono nella bottega di Oreste, anonimo barbiere del Nomentano e, da quel momento, scatta l' ossessione di Antonio: indagare nella vita privata di Fausto, distruggerlo a colpi di fake news, attivando la mitica "macchina del fango". Chiedo a Floris, il perché della tematica, molto più inquietante delle solite. Risponde: «È un tentativo di riflettere su una società che perde di vista la sua identità. Umberto Eco diceva che esiste uno zoccolo duro della realtà che rimane e si impone. Un tavolo resta un tavolo, diceva mio padre. E qua si parla di due persone che vogliono imporsi alla realtà che ovviamente reagisce. E cosa accadde quando uno dei due protagonisti, Antonio, un giornalista leone da tastiera, decide di indagare a fondo sulla vera identità di Fausto Maria, imprenditore di successo, vip? Accade che entrambe le vite si sgretolano». Questo è un romanzo sulla scomparsa del reale. Floris è un lettore desueto. Interpreta lo spirito del Tempo quasi con la lente di un antropologo attingendo «allo studio dell' identità della formazione dell' essere umano tratto da Sapiens, da animali a dei - Breve storia dell' umanità (Bompiani) di Yuval Noah Harari, un saggio pazzesco. E il lato thriller è ispirato alla mia passione per serie tv come Breaking Bad, o Broadchurch, un giallo inglese di grande presa (su Netflix, ndr). Quelle atmosfere lì», afferma. In effetti, è vero. La bolla - «Quelle atmosfere lì», il clima da scandalismo estremo, da inquietante saccheggio del retrobottega delle notizie, be', riportano ad una critica sociale marcatissima sullo stesso mestiere del cronista sempre più alla deriva del web. «Antonio descrive le notizie, non cerca ciò che è, ma cerca di dimostrare quel che vuole. Facciamo l' esempio di Internet. Agli inizi ricordo mia madre che mi diceva: che bello potrò visitare il Louvre senza muovermi di casa. Poi, nel tempo, Internet è diventato un posto chiuso, in cui ognuno sta con chi la pensa come lui, e se qualcuno ha idee diverse viene espulso da quel contesto. È una bolla: i social facilitano e amplificano i difetti dell' essere umano». Nel romanzo, poi, s' intrecciano altri elementi narrativi, altri percorsi paralleli. C' è una storia fatta di "intermezzi" in corsivo che narra di un "apolide originario", di un bimbo abbandonato, di un uomo senza identità. C' è l' elogio delle donne, le compagne dei due protagonisti, roba che riflette il rapporto con l' altro sesso dello stesso autore («Le generalizzazioni sono sempre sbagliate ma le donne con cui ho lavorato hanno spesso avuto grande capacità d' analisi. Riconoscono la realtà e riescono a lavorarci sopra»). E ci sono i figli. Floris dedica ai propri - e alla moglie - L' invisibile dove «Antonio e Fausto Maria riflettono sulla legacy, sull' eredità che si lascia da un punto di vista filosofico, e chi non può farne a meno è proprio la tua famiglia. Quello che lasci è legato a chi lasci». I figli sono tutto. Sono anche il finale del libro, dove il «passato scompare continuamente. Si ricrea ad uso del presente e soprattutto ad uso del futuro». Me lo ricorderò quando intervisterà il prossimo politico in tv. di Francesco Specchia

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