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Francesco Rutelli sembra quasi Salvini: "Cosa penso su migranti, sardine e Greta". Intervista rivelatoria

Francesco Specchia
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Mi scusi, ma perché io dovrei farmi intervistare dal vostro giornale, ché mi tirate sempre delle palate di merda invereconde?». Il dubbio è legittimo. Perché Francesco Rutelli - "er Piacione", "Cicciobello", "Gore di Roma" tra i soprannomi più nobili accumulati in una carriera durata un quarto di secolo- dovrebbe concedersi a Libero? Perché uno degli avversari più aguzzi di questa testata, eroe di un' area politica avversa trascolorata dal verde al rosso, dovrebbe ritagliarci il suo tempo da impegnatissimo presidente Anica, da fulcro dell' industria cinematografica italiana? (per esempio, io l' acchiappo al telefono mentre si sta imbarcando per Parigi, sussurrando mozziconi di frase, in francese, alla hostess). Perché, banalmente, Rutelli ha pensieri liberali. E perché tra il suo luminoso passato da sindaco di Roma e da esponente d' un roccioso centrosinistra che fu, oggi viene evocato con nostalgia. Perfino dagli avversari.  Leggi anche: "Perché l'inquinamento fa bene". La ricerca scientifica che smonta Greta e gretini Rutelli. Gliela dico secca: col bordello che c' è a Roma, si vocifera, per le prossime elezioni, un suo ritorno fiero e vendicativo Che fa, si candida?  «No, non mi candido a Roma. Sono fuori dal giro da sette anni ormai; e così posso esprimere giudizi più liberamente. E ho fatto politica per trent' anni. Mi faccia dire: non per bisogno: appartengo a una famiglia borghese, con qualche secolo di storia e cultura alle spalle. Dal ramo parmigiano viene Felice Martini architetto dell' Arsenale di Venezia; da quello marchigiano Ottavio Marini, direttore generale delle Belle Arti, che ebbe anche l' ingrato compito di restituire la Gioconda al governo francese; e mio bisnonno è lo scultore Mario Rutelli, quello della Fontana delle Naiadi piazza Esedra. Forse si sono incazzati tutti quando ho aderito ai radicali». La prende larga. Io le parlo della Raggi e lei mi spara il suo albero genealogico. E manco mi accenna alla creazione di questa sua Scuola di Servizio Civico, una sorta di piccola Ena, la scuola di formazione politica francese, però alla vaccinara. Che, praticamente, è una risposta alla Raggi «Per dirle che potevo fare a meno della politica. E no, la Scuola non è contro nessuno. Però, per la mia città, da volontario, ho pensato a questa iniziativa attraverso la quale sogno di formare buoni amministratori di fronti politici anche contrapposti. Il tutto parte dal concetto che chi governa non può essere l' uomo solo al comando, è essenziale la filiera e l' integrazione con gli altri, e una squadra robusta, senza si naufraga facilmente». Ma scusi, messa così - i sogni, la squadra, ecc- non suona, appunto come un manifesto politico?  «Ripeto, no. Sono diventato per la prima volta deputato coi Radicali a 29 anni, ho fatto 25 anni di Parlamento, cinque volte alla Camera, una al Senato, una all' Europarlamento. Oggi non ne sento affatto nostalgia. Anzi, devo dire che fatico a concepire questa politica della rappresentanza immediata, dove il consenso è legato alla necessità di dare ragione a chi ti vota. Edmund Burke faceva bene ad esaltare i principi della democrazia rappresentativa, è un precetto liberale». Lei è stato sempre descritto come -diciamo- un artista della diplomazia politica. Citando il liberale Burke vuol farmi intendere che ha fatto cose impopolari verso i suoi elettori?  «Molte volte. E allora si veniva eletti con i voti veri. L' ultima volta quando ho detto che se la sinistra non regola i flussi migratori finirà per perdere tutto. Da presidente del Copasir, dieci anni fa, fui autore del rapporto internazionale sul traffico di esseri umani come minaccia alla sicurezza nazionale, votato all' unanimità. La grande criminalità si annida lì, regolare i flussi è un prerequisito indispensabile; e la Ue negli accordi deve inserire i doveri internazionali di rimpatrio, occorre legalità per le strade». Non ci credo. Ma sa che mi sembra di sentire parlare Salvini?  «Ma è sbagliato solo preoccuparsi del momento dello sbarco, se dopo non si pensa a gestire l' integrazione. Tenga conto che parliamo sì di vittime che hanno attraversato il deserto libico, ma che pure hanno corrotto dei pubblici ufficiali pompando denaro illecito nelle arterie di un corpaccione già malato. Al fondo, tutta questa problematica non può ridursi a un fatto di polarizzazione politica».  O mio Dio. È proprio Salvini. «Guardi, alcuni contenuti di Salvini possono essere condivisi, anche se li ha presentati in modo esasperato. Però serve partire dal concetto che non è che se uno è un avversario politico, tutto quello che ha fatto è necessariamente una merda. Serve essere leali con chi hai di fronte, ed evitare di trasformare i processi politici in castigo di Dio. Vale, certo, anche con e per Salvini». Concetto che le rende onore. Quindi vale anche per le Sardine? Grande furore di popolo, piazze piene ma una sola strategia: andare contro l' avversario politico (che poi è sempre lui, Salvini)... «Le Sardine nascono certo come conseguenza della radicalizzazione delle Lega che si è posta come antagonista del mondo, e loro allora hanno antagonizzato la Lega. Però, al momento, sono un movimento spontaneo, non violento, anche ironico». Come molti movimenti di massa, d' altronde. Questo mi ricorda che fu lei a inventarsi i Verdi Arcobaleno; il montare delle tematiche ecologiste in Italia lo dobbiamo a lei. Ora, in tempi di Greta, un Rutelli ambientalista cosa farebbe?  «Guardi, l' Italia è il posto in cui la grande rivoluzione l' ha fatta San Francesco d' Assisi quando parlava ai lupi pur davanti a una natura nient' affatto irenica, ma crudele che soverchiava l' uomo. Oggi è il contrario: l' uomo soggioga e distrugge la natura, siamo nell' era geologica dell' Antropocene. Il che significa che, soprattutto in Italia, luogo dal patrimonio naturale e artistico immenso, la natura è antropizzata per sempre. Ed è cominciato ai tempi dei romani, con le centuriazioni, le lottizzazioni dei terreni». Non per interromperla, ma che c' entra? Scusi sa ma lei ha questo vezzo pannelliano di prenderla sempre alla lontana. Le ripeto: l' ambientalismo in politica come tema dirompente, paga o no?  «Mi faccia finire. L' ambientalismo, qui, ha vissuto tre fasi: la scoperta (se uno legge il libro di Rachel Carson, La primavera silenziosa, ha l' idea di "coscienza ecologica"); la denuncia, l' ambientalismo come patrimonio comune, ed è stata la fine dei Verdi italiani che dopo Chernobyl (dove toccarono il 6,2%) non si sono più ripresi; oggi è un moto esistenziale, che spinge specie i ragazzi "a fare qualcosa"». E dunque? «Dunque, oggi sull' ambientalismo, da noi, le parole d' ordine sono troppo generiche se non vuote. Occorre uno choc, una vera piattaforma che si occupi della manutenzione e del vero riassetto idrogeologico, di un vero programma di riconversione coraggioso. Lo chiami programma green totale. Con un investimento massiccio di molte decine di miliardi. Bisogna coinvolgere le categorie professionali, le università, gli istituti tecnici che sono la vera ossatura del Paese; far capire che è un business per tutti, un' occasione di lavoro imperdibile sviluppando anche quei mestieri tutti italiani che sono meno attaccabili dalle intelligenze artificiali». Cioè -mi pare di carpire- una riforma poderosa alla tedesca: niente tasse, tassette, incentivi e detrazioni, ma una botta da 50/100 miliardi (che tra l' altro potremo pure chiedere, come in Germania, di scorporare dal computo del deficit)?  «Esatto». In effetti su 77 miliardi di tasse ecologiche che paghiamo, solo lo 0.98% viene reinvestito in ecologia. Non è ipocrita dire, poi, che mancano i soldi?  «Ma i soldi ci sono. Quando divenni sindaco a Roma chiesi a un assessore perché, avendo i soldi, non avesse aperto un cantiere. Mi rispose: "Ahò sai quanto ce vole? Che lascio al mio successore il merito di un' opera che ho cominciato io?". Oggi siamo allo stesso punto: si insegue il tweet, dal facile consenso». Lei dice che qui se ne fottono del bene comune e che l' orizzonte è solo quello della prossima elezione?  «Esatto. E in Italia siamo sempre sotto elezioni. In compenso, in Campidoglio, io feci passare il trattamento delle acque reflue dal 52% al 94%, mettemmo i soldi dell' Acea in una cosa che non si vede, ma che è servita alle generazioni future. Ora, non dico fare l' Auditorium o la teca dell' Ara Pacis o 300 km di ferrovie in esercizio -come facemmo-, ma almeno pensare alle buche». E torno a bomba. Allora se il pensiero è così alto, non è meglio tornare al ruolo di civil servant, chessò, candidandosi a Roma?  «E dalli. No. La politica io la faccio col mio ruolo all' Anica. A Roma abbiamo portato 200mila giovani a Videocittà, facendo incontrare il vecchio mondo analogico con quello digitale, laddove si creano nuovi mestieri. Per dirle, a Milano una nostra azienda ha assunto un ragazzo che di mestiere fa il groomer, toglie e mette i peli digitalmente agli attori nei film. E comunque, non per fare il buonista a 65 anni, ma a volte noi italiani siamo autolesionisti: Un po' di benchmark, di segno distintivo in più, diamine, non guasterebbe. Molti altri stanno messi peggio» (e mentre Rutelli s' imbarca lo sento salutare amabilmente l' ex ministro leghista Centinaio. Ancora una battuta in francese, e ho quasi l' impressione del tintinnio di un Flûte di Champagne in sottofondo). 

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