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Coronavirus, quando Beppe Grillo straparlava di "camerieri-robot" per combatterlo

Lorenzo Mottola
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«L' Italia è un grande Paese, in questo momento quello con il più alto livello di salvaguardia e sorveglianza sul Coronavirus», diceva il ministro per la Salute Roberto Speranza. «Contro il contagio usiamo i robot», proponeva Beppe Grillo. «Facciamoci un aperitivo contro la paura», era la linea alcolica del sindaco Giuseppe Sala. Una cosa è certa: il Nobel 2020 per la medicina non andrà a un italiano. 

Rileggendo le raccapriccianti dichiarazioni rilasciate dai nostri politici prima dello scoppio dell' epidemia si intuisce un fatto: ci siamo messi nelle mani di un gruppetto di allegri kamikaze. E a guidare la pattuglia verso il baratro c' è sempre stato Giuseppe Conte, che fino a fine febbraio, come un santone indiano, ha continuato a mandare «messaggi di tranquillità e serenità», perché la situazione era «sotto controllo e il nostro Servizio Sanitario Nazionale è tra i migliori a livello mondiale». Per questo «ci dobbiamo fidare delle autorità in materia», diceva il giurista foggiano. Ora però resta da chiedersi: chi erano queste persone con specifica competenza che hanno indotto il presidente del Consiglio a prendere uno dei più colossali granchi della storia della politica?

IN UNA BOTTE DI FERRO
Forse si potrebbe cercare qualche traccia presso l' Istituto Superiore di Sanità, che diceva di non preoccuparci perché «i casi sono pochi e stiamo lavorando perché, se li avremo, siano in numero limitato. E soprattutto siamo pronti a intervenire per gestirli». Pareva di essere in una botte di ferro. D' altra parte, «le persone infettate hanno una sintomatologia assolutamente analoga a quelle che colpisce le vie respiratorie, come l' influenza». Un' aspirinetta e via, insomma. Poi sono morte 400 persone. Nei palazzi romani, tuttavia, la pensavano così un po' tutti. E anche qualche illustre virologo milanese ha continuato fino a 10 giorni fa a rilasciare interviste nelle quali paragonava la nuova malattia ai classici mali di stagione. Il ministero della Salute ha abboccato, tanto da aver addirittura lanciato una campagna - con il malcapitato Michele Mirabella (presentatore di Elisir) a fare da testimonial - per spiegare alla nazione che contrarre il Corona non è «affatto facile». Una tesi che troverà validi sostenitori nelle centinaia di medici infettati dai pazienti in questi giorni.

Anche la protezione civile ha dormito allegramente. Gli eredi di Bertolaso sostenevano che in Italia «va tutto bene. Ci sono due contagiati, ma sono in buone condizioni. Stiamo prendendo tutte le precauzioni. Quindi non c' è da preoccuparsi». E perché agitarsi?
Poi Milano è diventata la nuova Wuhan.

Tornando a politici e affini, Beppe Grillo postava articoli deliranti su «infermieri e camerieri robot per contenere il morbo». Di Maio sosteneva «di monitorare in maniera dettagliata la situazione e tutti gli sviluppi del coronavirus. Continuiamo a lavorare senza sosta per permettere ai nostri connazionali che si trovano in Cina di rientrare in Italia». Forse però gli sarebbe convenuto rimanere là. Il vero anti-allarmista era però il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, che pareva molto più preoccupato dalle ingerenze delle Regioni nell' azione anti-virale del governo che dal morbo stesso. La democrazia sembrava a rischio: «Le linee guida in materia di tutela della salute in Italia sono competenza dello Stato. L' organizzazione sanitaria spetta alle Regioni. Ognuno faccia il proprio lavoro. È la costituzione». Un mese dopo Lombardia e Veneto sono state chiuse per decreto.

IL RAGGIRO
Spiace, poi, parlare di Nicola Zingaretti, l' uomo che a fine febbraio aveva annunciato di aver trovato la terapia in grado di sconfiggere il Covid-19. Farmaci anti-ebola? Macché, basta un negroni sbagliato in zona Navigli, con tanto di strette di mano a tutti i supporter incrociati per strada. Sappiamo tutti come è finita, con il governatore del Lazio positivo ai test (in bocca al lupo). Anche lui, d' altra parte, è stato vittima di un raggiro: quello di Giuseppe Sala.

Alla fine di questa vicenda non si potrà, infatti, dimenticare la grande opera di un sindaco che all' alba della peggior sciagura vissuta dalla città dai tempi dell' occupazione nazista ha pensato bene di lanciare la campagna «Milano non si ferma» per invitare tutti, turisti e milanesi, a continuare a fare la loro normale vita. Un po' come se il podestà nel 1944 avesse chiesto ai cittadini di andare tranquilli a spasso durante i bombardamenti. «Non abbiamo paura», era lo slogan di Beppe. Forse avrebbe fatto bene ad averne.

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