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Ferruccio De Bortoli, la lezione: "Chi odia la Lombardia perché è un modello. Inaccettabile piacere per le sventure"

Giovanni Sallusti
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«Uno spirito anti-lombardo è emerso nel Paese. Non è più inaccettabile. Bisogna reagire. Dire basta». Un caposezione brianzolo della Lega, un solerte funzionario del Pirellone, un magutt intossicato dalla propaganda della Bestia salviniana e perfino un po' «sudato», come direbbe inorridito Carofiglio? Ebbene no: parole e musica di Ferruccio De Bortoli, già direttore del Sole24Ore e due volte direttore del Corriere della Sera, liberale senza impuntature libertarie, moderato per spontaneo galateo, borghese con piglio aristocratico innato, soprattutto sempre impeccabile, probabilmente non suda nemmeno in spiaggia (ammesso ci vada). 

 

Sì, De Bortoli ha rilasciato un'intervista-fiume all'Huffington Post. Un dettagliatissimo sfogo, certo in stile debortoliano, tutta analisi e zero rancore, contro il modo in cui il Belpaese, unico al mondo, ha reputato di reagire alla pandemia: mettendo sotto attacco la sua regione più martoriata. Quella Lombardia che «è stata investita dal contagio con una violenza inusitata». Come New York, come Londra, come tutti i territori produttivi e inseriti nel circuito degli scambi globali, per tautologia più esposti alla circolazione del virus. 

LA COLPA DI FARCELA
Solo che, in Italia, questo è un problema. Essere meritevoli, laboriosi, di successo, è un insulto, nell'era del reddito di nullafacenza, di nonsense iperstatalisti come i navigator o gli assistenti civici, dell'imprenditore/evasore (classico del luogocomunismo più avariato rilanciato recentemente contro il neopresidente di Confindustria Bonomi dai piani alti del Pd). De Bortoli lo dice chiaramente: «La Lombardia e Milano rappresentano l'Italia che ce la fa nel mondo. Il Paese che riesce a competere nella globalizzazione. Puntare il dito contro di esse, alleggerisce la coscienza di chi non è riuscito a fare altrettanto. Gli consente di non guardarsi allo specchio, scaricando tutta la responsabilità altrove». 

 

Il mio sottosviluppo è colpa del polentone venale, subdolo privatizzatore della salute, che ora giustamente paga dazio. «Dimenticando» incalza De Bortoli «che ogni anno 165mila persone vengono a curarsi qui da altre Regioni». Perché l'eccellenza va crocifissa ideologicamente, ma se devi salvarti la pellaccia torna utile, eccome. L'ex numero uno di via Solferino snida anche le cause storiche, profonde, di questo revanschismo anti-settentrionale che oggi cavalca il Covid in nome della propria mediocrità. Che sono essenzialmente due. Una culturale, il disagio della regola italica davanti all'anomalia lombarda: «Un disprezzo dell'impresa, una diffidenza nei confronti dell'industria, una rivincita della statalizzazione contro il mercato». La Lombardia è un'eresia quotidiana, un'enclave avanzata nel corpaccione di un Paese sempre più abituato a (s)ragionare con logiche venezuelane. Da questa differenza lombarda (Gianfranco Miglio la chiamava «vocazione») discende una contrapposizione prettamente politica. 

PROBLEMI IDEOLOGICI
E De Bortoli la descrive senza reticenze: «Il pregiudizio anti-lombardo è radicato in una parte della sinistra italiana. Politicamente, Milano è percepita come la città di Craxi, di Berlusconi, di Bossi, ora di Salvini. È qualcosa di estraneo, che la sinistra non è mai riuscita ad afferrare fino in fondo». E il pensiero non può non correre a quei tanti lombardi giallorossi che non vedono l'ora di vedere la propria Regione, nettamente la più progredita, commissariata da qualche burocrate romano, da qualche Arcuri in sedicesimi, una perversione che spinge il concetto di masochismo a vette inesplorate. Tutto questo va accompagnato, aggiunge De Bortoli, con la consapevolezza che «anche la Lombardia ha commesso degli errori. Soprattutto, di comunicazione». 

Ma il linciaggio generalizzato, le stimmate degli untori o peggio l'idea etnicista di chiudere i lombardi in Lombardia, sostenuta da Massimo Mantellini, scrittore (chiedendo scusa a Proust) e per contrappasso satirico membro della task force governativa contro l'odio in rete, proprio no. La colpevolizzazione collettiva proprio no («Ancora oggi mi sento un po' appestato», confessa l'intervistato), fosse anche solo perché nel caso di specie diventa puro autolesionismo. «La Lombardia vale il 22% del Pil italiano. Ha 54 miliardi di residuo fiscale. Come si fa a non capire che senza Milano e la Lombardia l'Italia non si metterà mai in piedi?». È questa, nella versione di De Bortoli, la domanda delle domande. Noi, che siamo più rustici, la riformuleremmo come affermazione: cari sciacalli assortiti, lasciate in pace la Lombardia, vi conviene. Qualcuno deve pur fatturare. r

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