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Antonio Spampinato, addio al giornalista di Libero: "Sei andato, ma sarai sempre qui con noi"

Pietro Senaldi
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Era bello lavorare con Antonio, giornalista atipico, che non amava mettersi in mostra e anteponeva il pensiero alle parole. Per questo, quando interveniva, non era mai banale né improvvisato. Diceva sempre qualcosa che ti faceva riflettere, ti restava dentro e ti ritrovavi giorni dopo, come spunto per un articolo, un titolo, un'inchiesta. L'anti-narcisista per eccellenza, ti regalava il suo lavoro senza chiedere medaglie, aspettandosi non so come che l'ingiustizia del mondo lo ripagasse. Spampinato era un nostro caporedattore. Un professionista scrupoloso e leale, di quelli di cui si dice "ce ne fossero". In tanti anni non mi ricordo una scorrettezza, una bugia di comodo, una forzatura, una notizia gonfiata per finire in prima pagina. Aveva troppa classe per queste cose. Ci ha lasciati ieri, due settimane dopo il suo 55esimo compleanno, festeggiato malconcio ma in piedi e di buon umore il 5 agosto. È il primo caduto della storia di Libero, al quale si era aggregato poco dopo la fondazione. Veniva da New York, dove era andato spinto dalla curiosità del mestiere. Per vivere nella Grande Mela aveva lasciato la Reuters, una delle più importanti agenzie di stampa del mondo, a riprova della sua singolarità. Rientrato, bussò alla nostra porta. Io lo avevo conosciuto anni prima, quando entrambi avevamo un'età con il "2" davanti. Ci litigavamo i pezzi nel girone dantesco dei precari di quello che era il grande Giornale di Feltri, poi ci ritrovammo per caso insieme alla Padania degli esordi, agli ordini di Gianluca Marchi. Non si può raccontare un uomo complesso e riservato come Antonio in poche righe senza rischiare di fargli qualche sgarbo, oltre a quelli che la vita gli ha fatto portandolo via presto, dopo una massacrante trafila ospedaliera. Lo stesso destino che ebbe suo padre.

 

Spampinato non è stato fortunato con i medici, costosi interventi che hanno complicato la situazione anziché risolverla, e solo alla fine la terapia giusta. Ma il corpo ormai era andato e lo spirito non è riuscito a rimettergli le briglie. Vorrei avere la stessa forza e serenità di Antonio il giorno in cui toccherà a me. Non provava rancore, o sapeva nasconderlo. «Sto lottando, mi ha preso proprio bene», è uno di quei messaggi che mi ricorderò per sempre. La morte lo ha sorpreso quando pensava di potersela ancora giocare, sospinto dalla sua famiglia, che gli ha regalato un ottimismo che non pensavo avesse, mentre invece ne conoscevo la silenziosa tenacia. Gli era bastato un biglietto, sentito e a penna, in cui Feltri gli aveva scritto «ti aspetto, abbiamo bisogno di te» per commuoversi e insistere per mandarci pezzi anche dalla malattia. Malgrado il suo curriculum professionale, Antonio non ha mai avuto la passione per il giornalismo politico, inadatto a un uomo del suo equilibrio. Era un buono e un idealista, lo scontro non era la sua tazza di thé. Si occupava di economia. Era un maestro del ramo immobiliare, talento che ha messo a frutto nel ricavare da un rudere della seconda guerra mondiale il proprio nido domestico, nel cuore di Milano. Uomo generoso, era gelosissimo di quella casa davanti al parco delle Due Basiliche. Abbiamo avuto vent' anni insieme, anche se lui aveva tre o quattro stagioni più di me, ma anche la giovinezza Antonio l'ha attraversata in punta di piedi. La botta di vita era farsi un piatto di spaghetti all'aperto, le sere d'estate nella Milano deserta, piccolo privilegio di noi giornalisti. Giocava a tennis perché gli piaceva contare solo su se stesso e si era comprato una barchetta. Prima di sposarsi e mettere su famiglia, prendeva il mare da solo, per tre settimane. Erano le sue ferie. Dio sa dove andava e cosa cercasse. Con i suoi occhi azzurri, dna siciliano-normanno, il nostro caporedattore ha fatto sì che negli anni la stessa domanda se la ponesse più di una fanciulla, sedotta dalla mitezza del navigatore solitario. Poi Spampinato ha trovato il suo porto, Veronica, ha gettato l'ancora e si è fatto mare placido e caldo per cullare Angelica. «La bambina è fantastica» mi disse quando gli chiesi come aveva preso la sua malattia. Mi addolora che sia costretta a vivere quasi tutta la sua esistenza senza un padre affettuoso e innamorato come Antonio. Quando ho chiesto alla moglie come fosse riuscita a incastrarlo, lei mi ha risposto: «Sai, noi emiliane abbiamo qualcosa in più, come avete scritto anche voi su Libero». Andandosene all'alba, Spampinato mi ha fatto l'ultimo regalo. Per una volta, tutto il giorno a pensare a un amico e agli affetti anziché a Conte, Gualtieri e alla Azzolina, che mi sembrano più morti di lui. Ciao Antonio, sono costretto malvolentieri a prendere congedo da te. È stato un caldo viaggio conoscerti, sarà un doloroso piacere ricordarti. Mi lasci dentro qualcosa di malinconico e profondo, proprio come eri tu. Non ti sei scelto la fine, ma nessuno può farlo; però mi rasserena sapere che ti sei vissuto la vita a modo tuo e non hai permesso a nessuno di interferirvi.

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