"I Diavoli Neri: storia della Battaglia di Mogadiscio". Intervista al Generale di Brigata Paolo Riccò
"Una delle Missioni più difficili in cui venne coinvolto l’Esercito Italiano. Una missione che gli americani definirono il loro secondo Vietnam", ricorda il Generale di Brigata, oggi Comandante dell’Aviazione Esercito ma, nel 1994, giovane Capitano nella Somalia sconvolta da una guerra civile dominata dalla figura, potente ed inquietante, di Mohammed Farah Aidid. Nel suo I Diavoli Neri (Longanesi, 2020), il Comandante ripercorre le fasi di quella Missione e della battaglia del check point “Pasta” del 2 luglio 1993, il più cruento scontro cui hanno partecipato militari italiani dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Generale, perché scrivere della battaglia di Mogadiscio?
“Perché è una delle vicende che ha coinvolto l’allora Esercito Italiano di leva in una delle più cruenti battaglie dopo il Dopoguerra senza che realmente ne fosse stato mai trasmesso il reale senso di onore e di coraggio che i giovani ragazzi italiani di leva di allora furono in grado di esprimere sul campo durante la missione in Somalia”.
Con quali eventuali nuovi contenuti il libro contribuisce alla memoria della battaglia?
“E’ il racconto di vita vissuta da parte di una Compagnia Paracadutisti di quel periodo che per la sua indole meccanizzata venne maggiormente coinvolta negli eventi più cruenti del periodo. Era la 15° Compagnia Paracadutisti ‘Diavoli Neri’. Ripercorrendo le vicissitudini di quei ragazzi, il libro fornisce al lettore una chiara idea sui motivi che portarono a partecipare alla Missione in Somalia, sul come venne preparata e affrontata, sul perché si giunse a quella fatidica battaglia e in che modo venne affrontata, prima e dopo il 2 luglio 1993. I fatti raccontati da alcuni dei partecipanti ne trasmette una chiara visione”.
Quanto e come cambiò il clima nella missione dopo gli scontri al Pastificio?
“Cambio tutto! Cambiarono i rapporti con le autorità locali, cambiò la fiducia verso la popolazione, cambiò l’atteggiamento delle truppe impegnate nella missione, cambiarono principalmente le strategie da parte degli americani, mentre i militari italiani cercarono sin da subito di capire le cause di una tale reazione da parte somala per poter ricostruire un rapporto di fiducia, seppure lesionato dalle perdite subite".
Figura legata a quei tragici eventi è il signore della guerra Mohammed Farah Aidid. Fu davvero un uomo così potente nel contesto della guerra civile somala?
“Assolutamente sì! La sua immagine era dappertutto e la sua influenza era particolarmente sentita dai più giovani che in lui vedevano la guida che li avrebbe potuti aiutare ad uscire da quella crisi. Basti pensare che molto spesso quando il Signore della guerra teneva i suoi comizi in qualche area di Mogadiscio, diversi camion attraversavano le strade per raccogliere i molteplici giovanissimi partecipanti. Al loro rientro masse di ragazzini iniziavano ad inveire animatamente contro le forze straniere, e quindi anche contro di noi, caricate dalle parole appunto pronunciate da Aidid. Era poi compito dei locali più anziani cercare di ricondurli alla ragione anche se sempre con maggiore difficoltà. Più trascorreva il tempo è più si sentiva crescere la tensione".
Nell'Italia di oggi qual è il ricordo di quella missione?
“E’ il ricordo di una periodo vissuto dall’Esercito Italiano in un epoca diversa da quella attuale e quindi sempre più lontana. Il libro, tra l’altro, cerca appunto di riportare in vita una delle Missioni più difficili in cui venne coinvolto l’Esercito Italiano. Una missione che gli americani definirono il loro secondo Vietnam”.
Quale influenza ha esercitato l'esperienza italiana ad UNOSOM II su formazione ed addestramento dell'Esercito Italiano?
"Una eventuale influenza è stata comunque annullata dalla costituzione di un Esercito di professionisti con il quale ovviamente la formazione e l’addestramento sono completamente cambiati”.