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Carlo De Benedetti contro Silvio Berlusconi, la verità sull'eterno rancore: cosa c'è davvero dietro

Fabrizio Cicchitto
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Caro direttore, c'è un libro di Carlo Levi dal titolo «Il futuro ha un cuore antico». Essendo meno ottimisti, potremmo rovesciare questa frase: l'odio ha ragioni antiche. Paradossalmente, Carlo De Benedetti, dando certamente prova di una organica e profonda meschinità, ha però dato espressione ad un odio nei confronti di Berlusconi che riguarda una parte dell'establishment economico-finanziario e i settori più faziosi della sinistra che non gli perdonano ancora quello che è avvenuto nel 1994. Dopo il crollo del muro di Berlino, il Pci aveva davanti a sé una strada rettilinea, cioè quella di seguire la linea proposta dai miglioristi e di trasformarsi in un partito social-democratico di stampo europeo che realizzasse l'unità politica con il Psi di Craxi. Senonché gli eredi di Berlinguer rifiutarono anch' essi, come il loro leader originario, l'approdo social-democratico e quindi scelsero di cambiare il nome per rimanere inseriti nella dialettica politica, ma dovettero ricorrere a una ben diversa "centrale" culturale e politica che li rifornisse di materiali culturali all'altezza della situazione. Questo centro di riferimento fu offerto da quello che non a caso fu chiamato il giornale-partito Repubblica, era diretto da Eugenio Scalfari, ma ispirato da Carlo De Benedetti.

 

 

IL PATTO CON LE TOGHE
Secondo quell'impostazione il Pds non doveva aver nulla a che fare con un partito socialista classico, ma doveva essere insieme un partito liberista sul terreno della politica economica e fortemente giustizialista sul terreno dei diritti civili, il giustizialismo espresso da tutta un'area della magistratura italiana, quella più di sinistra di Magistratura Democratica e quella più di destra espressa prima da Maddalena e poi da Davigo. Tutto ciò è derivato anche dal fatto che dopo il crollo del muro di Berlino il settore forte dell'establishment finanziario ed editoriale, in prima linea Cuccia e Romiti, ha ritenuto che andava tolta la delega alla Dc e al Psi di poter fare il buono e il cattivo tempo nella politica economica e nella scelta della nomenclatura per le imprese private e pubbliche. A quel punto Borrelli aspirò al fatto che il presidente della Repubblica desse a un nucleo di magistrati la delega di rappresentare il nuovo soggetto protagonista di una Seconda Repubblica.

LA VARIABILE IMPREVISTA
Allora però ebbe buon gioco il suo vice D'Ambrosio nello spiegare che si sarebbe trattato di un'operazione velleitaria e asfittica e che un rapporto con la precedente classe politica era indispensabile e che esso poteva e doveva essere costituito dal nucleo post berlingueriano del Pds che con la magistratura aveva già stabilito, tramite Pecchioli e Violante, dei rapporti profondi e radicati: in quel modo ci si sarebbe liberati per via giudiziaria proprio di Craxi, del Psi, del centro-destra della Dc. Detto fatto. Mani Pulite fu indirizzata in quella direzione con una forzatura assai netta: anche il Pci-Pds faceva parte del sistema del sistema di Tangentopoli (vedi Enimont e Italsta). Allora c'erano tutte le premesse per la conquista del potere da parte della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto sostenuta da un nucleo di magistrati e dal circolo mediatico ispirato da Repubblica e dalla Cir di De Benedetti.

Senonché Berlusconi fece saltare il banco, perché capì che l'alleanza giustizialista fra il Pds e il pool di Mani Pulite avrebbe dato vita a un autentico sistema autoritario. In sostanza quello che non viene perdonato a Berlusconi è l'inaspettata vittoria dell'alleanza federativa fra Forza Italia, An e Lega Nord del 1994. Sono queste le ragioni di fondo di un odio al quale un personaggio insieme più meschino, più ottuso e più egocentrico, cioè Carlo De Benedetti, ha dato esplicita espressione, ma che però è coltivato da tanti nella rete e in centri reali del potere. Fortunatamente stavolta a questo esercizio dell'odio si sono sottratti non solo i dirigenti del Pd, come Zingaretti e gli altri, ma anche Di Maio. Ma al di là di queste espressioni politicamente equilibrate c'è qualcosa che cova nel profondo, le cui ragioni derivano da un pezzo fondamentale della storia del nostro Paese. Se la crisi del '92-'94 non ha avuto uno sbocco organicamente autoritario-giustizialista ciò è avvenuto per il colpo di fantasia fatto da Berlusconi nel 1994. Il ruolo svolto in alcuni momenti positivi da Berlusconi costituisce un pezzo indubbio della storia italiana. 

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