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Giorgia Meloni, ecco gli uomini che lavorano nel silenzio per farla diventare premier: la mappa del potere FdI

Antonio Rapisarda
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Dietro il sorprendente 18% di cui è accreditato Fratelli d'Italia - unico partito a crescere in questa seconda fase di Terza Repubblica e a non temere il taglio dei parlamentari - non c'è il caso né l'estemporaneità. Né, tantomeno, la risacca delle ondate altrui. Si è parlato spesso, ad esempio, della forza mitopoietica del dispositivo: l'obiettivo, raggiunto, di «mettere in sicurezza la destra» fortemente voluto dai fondatori (oltre a Giorgia Meloni: Guido Crosetto, Ignazio La Russa, Fabio Rampelli ed Edmondo Cirielli). Così come è riconosciuta ormai la capacità di aver reinnestato, nel tempo della politica "gassosa", un movimento nella concretezza che gli ha permesso di lievitare nella sua dimensione territoriale (merito delle colonne organizzative: Francesco Lollobrigida e Giovanni Donzelli). Non è più una novità nemmeno la freschezza politica donata da un nucleo di giovani dirigenti di esperienza, come i tipi della "generazione Atreju", che rappresentano più della metà dei gruppi parlamentari e la cantera da cui attingere puntualmente a ogni elezione (ultimo caso: Francesco Acquaroli candidato governatore delle Marche). E infine, o meglio al principio, si staglia ovviamente l'indiscutibile portato della capacità personale e carismatica della leadership di Giorgia Meloni. La quale però, come segreto di questa proiezione sedimentata e continua della sua creatura, rivendica un metodo antico almeno quanto le sezioni polverose ma dense di storia e fermento dove è cresciuta e si è formata: quella che lei stessa chiama la sua «fucina».

Chi la conosce bene, in casa come nel partito, sostiene - a ragione - che la madrina sovranista sia una «secchiona», dedita a una preparazione «maniacale» di qualsiasi posizione politica assuma: «Si tratti di economia o di politica estera come di qualsiasi altra materia, la Meloni non farà mai affermazioni nei suoi interventi alla Camera, nelle uscite pubbliche, o nelle ospitate televisive, che non siano il risultato finale di uno studio molto attento». Ciò che forse si sa di meno, e che Libero è in grado di ricostruire, è proprio il processo pensante che sta dietro e accanto le uscite di Giorgia e il posizionamento di FdI, in grado - dal global compact al neocolonialismo francese col franco Cfa, dal tema delle rete unica delle telecomunicazioni da riportare in mano pubblica alla battaglia per il contante libero - di arrivare a condizionare l'agenda della coalizione di destra-centro così come quella del Parlamento. Uno dei forni di questa fucina è rappresentato dai dipartimenti tematici. Sulla carta sono previsti in tutti i partiti ma la Meloni li ha strutturati in maniera certosina con il cosiddetto "parlamentare per materia". Il motivo è chiaro: se si tenta di coprire il territorio nazionale con un rappresentante eletto, si fa lo stesso per i contenuti. «La scelta dei responsabili è essa stessa un'idea, una soluzione», spiegano da via della Scrofa. Un esempio su tutti è il bellunese Luca De Carlo, a cui è stato affidato il dipartimento agricoltura e che è candidato alle suppletive per il seggio senatoriale di Verona. Uno che la sua tematica non l'ha compulsata in televisione ma la vive con le sue mani e che sa calarsi nel concreto: come quando in Aula, davanti a una calamità naturale, ha proposto la necessità di ripristinare un pascolo, un'area da coltivare piuttosto che proporre la ricetta "gretina" di piantare un alberello.

È in questa cornice che si inserisce l'altro forno, l'inedito Ufficio studi che si richiama a una prassi che si ripete, immutata, dall'inizio degli anni '90. Quale? Quella che vuole un nucleo di persone dedicato prevalentemente all'elaborazione politica, strategica e culturale mentre tocca alla leader poi - coadiuvata da un ristrettissimo gabinetto - fare sintesi. Un meccanismo oliato fin dai tempi dei calzoni corti: «Prima lo facevamo negli scantinati delle sezioni del Fronte della Gioventù e del Msi, poi diventate di An: lì si svolgeva un grande lavoro, con tesi di avanguardia, nonostante le pochissime possibilità di portare tutto ciò sul piano pubblico». Oggi - con ben altri palcoscenici - «la stessa cosa avviene dentro il cuore delle istituzioni: al secondo piano dei gruppi del Senato». A parlare è Giovanbattista Fazzolari, responsabile del programma di FdI, senatore da sempre vicinissimo alla Meloni. È lui ad animare - con l'aiuto dell'economista Francesco Filini chiamato a coordinare il gruppo - l'ufficio studi di Fratelli d'Italia. Realtà sempre più citata da alleati e non, e così produttiva da portare la stessa Meloni a bacchettare il premier Conte sul fatto di non aver fornito i dati statistici dell'incremento di mortalità durante la crisi del Covid-19 nelle diverse province italiane: «È possibile - lo ha rimproverato in Aula - che sia arrivato per primo a fornire questi dati il nostro ufficio studi che non il governo con le sue task force?». Come racconta Fazzolari a Libero, quello di dotare FdI di un pensatoio tecnico è stata una precisa scelta della leader: «C'è chi crede che siamo tutti immersi nella politica fluida, o negli umori della Rete. Per noi non è così. In realtà su ogni cosa che dice la Meloni c'è alle spalle una base molto solida a cui è lei per prima a dare molta importanza: uno studio puntuale frutto sia dei dipartimenti che dell'ufficio studi. E tutto ciò poi si tramuta in proposte di legge, emendamenti, dichiarazioni, convegni». 

 

 

 

 

L'idea di mettere su questa struttura nasce quando ancora FdI viaggiava al 4%. «In quel momento, mentre per chiunque altro sembrava più utile dedicare le prime vere risorse a disposizione del partito alle campagne sui social, a potenziare le segreterie, ad aumentare la visibilità, Giorgia stabiliva invece che una parte di tutto il nostro sforzo dovesse andare a costituire un centro studi». Ufficio affidato proprio a Fazzolari, che da sempre l'affianca nell'elaborazione politica: esattamente fin da quando Giorgia era leader di Azione Giovani e lui un dirigente degli universitari della storica sede romana di Sommacampagna, uno dei luoghi di elaborazione più avanzati di tutta una compagnia rimasta coesa e che ancora oggi fa parte del mondo di riferimento culturale di FdI. Da lì proviene non a caso anche Giampaolo Rossi, oggi membro del Cda della Rai. E a proposito di cultura, assieme a lui, voci riflessive molto ascoltate e apprezzate nella "fucina" della Meloni sono Alessandro Giuli, giornalista di Libero e del Tempo e neoconduttore della trasmissione di RaiDue Seconda Linea, e lo scrittore "saracino" Pietrangelo Buttafuoco. Ad ingegnarsi nel pensatoio meloniano del Senato sono poche selezionate persone - tutte provenienti dal mondo della ricerca, dell'accademia e delle professioni -, che possono contare a loro volta su un numero elevato di esperti di ogni campo «che, anche se non sempre organici a FdI, con grande partecipazione collaborano alla realizzazione di contenuti che scavano in profondità», spiega ancora Fazzolari. Si tratta di giuristi, professori universitari, professionisti ma anche ex ministri dall'ampio "portfolio". Fra gli esperti di finanza vi è Maurizio Leo, inventore della flat tax incrementale: tesi oggi sposata da tutta la coalizione di destra-centro. Per ciò che riguarda le dinamiche internazionali e diplomatiche, molto apprezzato è il contributo del già ministro Giulio Terzi di Santagata. Sui temi etici si leggono i contributi giuridici di Alfredo Mantovano, presidente del centro studi Livatino. Sul dossier delicato del sociale e della disabilità, un ruolo centrale lo ha l'ex ministro Antonio Guidi. Autorità sul fronte economico e sulle dinamiche in seno all'Ue è, ovviamente, Giulio Tremonti: voce stimatissima dalla Meloni. Fra le cosiddette new entry, spiccano Domenico Lombardi, l'economista a cui è legata la proposta sull'utilizzo dei Diritti speciali di prelievo del Fmi, e, sul fondamentale dossier difesa, il generale Marco Bertolini, vera icona per il mondo dei reparti speciali delle forze armate. Questa, dunque, è la cinghia di trasmissione del pensiero nazionale 2.0: un network che Giorgia Meloni stima come una vera e propria contro-élite identitaria e produttivista. «Siamo molto fieri di questo processo culturale che reputiamo fondamentale per la difesa e la promozione della democrazia decidente», conclude Fazzolari. A maggior ragione lo è di fronte a una sinistra «che ha abbandonato completamente il campo della complessità per ripiegare nel comodo ruolo di portavoce del pensiero unico dominante» e soprattutto ai 5 Stelle: «Questi rivendicano come un valore l'impreparazione politica, esattamente ciò che per noi è e resta il vero cavallo di Troia che ha aperto la strada alla tecnocrazia e al declino della sovranità popolare. Contro ciò stiamo componendo questo antidoto all'antipolitica: una proposta di governo organica ed organizzata. Un'idea d'Italia».

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