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Gianfranco Vissani porta Giuseppe Conte in tribunale: "Ci ha ucciso, fuori i soldi"

Tommaso Farina
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 «Io ho dieci ettari di terreno, mangio lo stesso. Ma i miei colleghi? Come fanno?». È preoccupato, Gianfranco Vissani. Per se stesso, ma più ancora per chi fa il suo mestiere. E il suo mestiere, quello del ristoratore, è forse quello che dalla tragedia del coronavirus ha dovuto patire le perdite più grandi: saracinesche abbassate, clienti dimezzati. E poi, l'epilogo più drammatico: il sucidio di Luca Vanni, a solo 44 anni, travolto dalle preoccupazioni economiche per l'avvenire del suo locale a Firenze. Per Vissani, cuoco celeberrimo nella sua Baschi (Terni), poi personaggio televisivo e poliedrica personalità della vita culinaria degli ultimi trent' anni, la pandemia ha fatto divampare un altro pericoloso morbo: quello dell'individualismo, del pensare solo a se stessi e ai propri interessi, senza fare squadra. Il tutto, con la complicità di un governo che in realtà, a suo giudizio, ha saputo fare ben poco per i cittadini. Lo raggiungiamo mentre si concede qualche ora di relax sulla spiaggia di Forte dei Marmi, ove in questi primi giorni di settembre «sono rimasti quattro gatti», rivela.
 

Molta gente pensa che il premier Giuseppe Conte stia agendo nel modo giusto in questa situazione del Covid. Lei la vede diversamente?
«Io credo semplicemente che ci dobbiamo vergognare. Non mi riferisco certo al viceministro Castelli, che quando ci invitò a cambiare mestiere in realtà non voleva dire cattiverie. Mi riferisco a tutto il resto. Dobbiamo ricevere ancora i soldi della cassa integrazione. Avevo dipendenti che prendevano 1.200 euro al mese e si sono ritrovati con 400: una persona come fa a vivere così? Come lo paga il mutuo, l'affitto, le bollette? Capisco che in Italia non ci siano soldi, ma così è troppo. I soldi per aiutare certe grandi industrie trasferite all'estero li trovano sempre. E da noi certi colleghi che fanno? Si rifanno sui clienti, cercando di recuperare le perdite aumentando i prezzi. È proprio vero che l'individualismo non ha mai fine».

E lei che ha fatto?
«Io, a Casa Vissani, ho il mio menù a trenta euro. Sono undici assaggi, diconsi undici, dei miei piatti. Cose come la mia caponatina coi crostini alla cannella, il filetto di zucchina con yogurt e aglio nero alle fragole, il risotto al burro e Parmigiano all'aceto balsamico Dop, le bombe fritte alla crema, i pop corn col sale maldon, l'insalatina di orata, e l'ovettosa, che sarebbe un uovo cotto a bagnomaria col pomodoro nero».

Tutto a trenta euro?
«E non solo: è compreso un bicchiere di Champagne. E non uno qualsiasi, ma il Piper-Heidsieck. Quello che Gabriele D'Annunzio pretendeva quando era a Fiume. Beh, un menù del genere a soli trenta euro non mi pare una sciocchezza. Così un po' di gente viene. Ma dopo? La verità è che Conte ha tagliato fuori l'imprenditoria».

Che cosa sarebbe stato meglio fare?
«Per me? Un anno bianco. Tasse sospese almeno fino all'anno prossimo. Poi nell'inverno 2021 se ne sarebbe riparlato. Ma la verità è che così Conte ci ha presi un po' troppo in giro. E anche Rutte, quello dell'Olanda, paradiso fiscale. Ma che Europa è questa? Se l'Europa dev' essere unita, sia come gli Stati Uniti d'America: non solo unione economica, anche leggi uguali per tutti. Così non essendo, mi sento di dire che l'Unione europa, per come la conosciamo oggi, è un fallimento. Solo Draghi ci poteva salvare. Se fosse stato presidente del Consiglio, ci avrebbe aiutato non poco. Ora invece con l'associazione Ristoritalia, di cui sono presidente onorario, sto pensando a una class action contro il governo. I nostri diritti sono stati calpestati. I diritti elementari, quelli umani. I bonus, i 600 euro sono stati solo manovre dal sapore elettorale. Ora, a settembre e ottobre, si apre un buco: c'è gente che non sa come farà a sopravvivere. È di loro che mi preoccupo».

La impensierisce la recrudescenza del virus?
«Che cosa si sa davvero del coronavirus? La gente, anche gli esperti, dicono tutto e il contrario di tutto. Alla fine resta una gran confusione, non ne viene fuori l'immagine di una situazione gestita con consapevolezza. Hanno additato la Sardegna come nuovo focolaio. Bene: c'erano barche che partivano per la Sardegna in tutti i porti. Cosa costava impiantare una grande struttura piena di medici per fare il tampone a tutti quelli che arrivavano? A un motociclista l'hanno fatto, e gli hanno detto: se ti richiamiamo, vuol dire che ti abbiamo trovato il virus. Ok, bene: ma nel frattempo, nell'attesa della telefonata, il motociclista quanti chilometri ha fatto? Siamo davvero all'altezza di giudicare la vera portata di questo virus? Noi che non sappiamo nemmeno tutelare l'origine e la genuinità della produzione gastronomica italiana?».

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