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Ma non è giusto che in questo caos paghi solo la ministra De Micheli

Paola De Micheli

Suvvia, non sarà mica colpa delle infrastrutture se gli Esteri si fanno sbeffeggiare sul caso Regeni o la Cultura si blocca su teatri? Perché vogliono farla fuori...

Francesco Specchia
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Se l’assessore alla Sanità Gallera è -come titolava Libero- il “caprone espiatorio” d’una politica collettiva regionale a tratti dissennata, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli è la “capretta espiatoria” di un’inadeguatezza assai più complessa. Che il governo Conte, incasinato com’è, punti al sacrificio della ministra per risolvere i suoi problemi con Renzi, be’, appare oggi quantomeno inelegante.

Dalla furiosa rissa notturna in Consiglio dei ministri resocontata dalle cronache, infatti, escono indebolite due figure pronte all’avvicendamento in un futuro rimpasto di governo: quella di Lucia Azzolina e Paola De Micheli. Ma, dioscure d’un comune avverso destino, avversarie seppur non esenti da difetti e colpe (la magnificazione delle bici e dei monopattini in tempi inopportuni da parte della titolare dei Trasporti ci poteva essere risparmiata, per dire), entrambe le signore, ora, appaiono chiaramente l’anello debole di strategie che i loro stessi partiti stanno cucendo sulle ambizioni dei rispettivi segretari. Ma se la titolare dell’Istruzione Azzolina, nonostante tutto una delle più competenti dei 5 Stelle, ha almeno ricevuto il sostegno ufficiale del Movimento, il nome di De Micheli frulla impazzito attorno a quello del suo possibile successore -Maria Elena Boschi, silfide renziana- senza che né Zingaretti né altri dirigenti del suo Pd levino il benché flebile fiato per difenderla. E dire che, se proprio vogliamo fare i pignoli, solo il 2% dei focolai italiani da Covid viene dalla scuola; e di questi solo il 7% è causato dal passaggio del virus attraverso i trasporti pubblici, almeno a detta di eminenti virologi come Roberto Cauda a Tagadà su La7. Quindi, in teoria, sia Azzolina che De Michelis non hanno demeritato più dei colleghi, anzi. A dirla tutta, ci si chiede quali formidabili intuizioni abbiano avuto nello svolgimento del proprio funzioni il ministro Luigi Di Maio avvitato nell’imbarazzo della vendita di fregate all’Egitto che continua a sbeffeggiarci sul caso Regeni (hanno fatto di più in termini di dignità patriottica i genitori del povero Giulio che l’intero apparato della Farnesina); o il titolare della Cultura Dario Franceschini, sempre più impegnato come Talleyrand nella voglia -legittima, per carità- di arrampicarsi al Quirinale che non alla riapertura di gallerie, cinema o teatri. Così, giusto per fare due nomi a caso.

Certo, uno può dire che prima di De Micheli c’era Toninelli, e anche una pianta, in quel posto, avrebbe avuto gioco facile. Ma non credo sia colpa della ministra se le zone rosse, arancioni o gialle in Italia varino col colore delle cravatte di Conte; e se, di conseguenza trasporti e circolazione subiscano i repentini stop-and- go dei Dpcm di Palazzo Chigi. De Micheli, tra l’altro, nonostante i 47 anni, è politica di esperienza: è un ex imprenditrice (ramo conserve alimentari) che conosce i problemi del settore produttivo; è sempre stata favorevole alle grandi opere; è -come scrisse Marianna Rizzini sul Foglio-  “una, nessuna, centomila e possiede doti di ufficiale di collegamento con altri mondi” (in primis Confalonieri e Giorgetti presenti al suo matrimonio). Di ascendenza Dc, io la ricordo attivissima, cuore pulsante nelle visioni di Vedrò, il think tank di Enrico Letta, prima che lo stesso Letta divenuto premier lo smontasse. E poi l’ho rivista renziana tiepida ai tempi del regno di Rignano, epperò in grado di apprezzabili esercizi di coerenza politica (“Lo sanno tutti che sono un’esponente della minoranza dem e da parte di Renzi, come anche da parte nostra, c’è la volontà di unità”): il tutto, formalmente, per la crescita del partito. De Micheli è una maratoneta, possiede l’orizzonte lungo del passista. Deve la propria capacità strategica alla frequentazione dei vecchi moderati, e ai decenni di semiprofessionismo nella pallavolo ai tempi dei cartoni animati di Holly e Benji, che ebbero lo sbocco nella presidenza della Lega Volley. E’ stata una zingarettiana di ferro ancor prima che Zingaretti supponesse di prendere possesso del partito. Curioso che ora, nonostante le difficoltà dell’intero esecutivo, lo stesso Zinga non le faccia le barricate.

La realtà è che, in un probabile rimpasto, Mattarella ha già messo dei paletti: impossibile sostituire i componenti del Consiglio Supremo di Difesa (Esteri, Interni, Economia, Difesa e Sviluppo economico) figuriamoci, in pandemia, il ministro della Salute. Di fatto, rimangono Bonafede, sponsor di Conte, e, per l’appunto, Azzolina e De Micheli. Di Azzolina abbiamo detto. E far fuori De Micheli perché è l’unica che, nel buio totale, rimane col cerino in mano, be’, non è una gran pensata…

 

 

 

 

 

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