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Marcello Simoni , il ritorno del bibliotecario da 2 milioni di copie

 Marcello Simoni

Ritratto di un autore da box office (e un tantino sottovalutato)

Francesco Specchia
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La vita è fatta di nemesi e volute del destino. Marcello Simoni, 46enne archeologo dalle brume della valli di Comacchio, aveva un debole per Stephen King, per il Medioevo e per la filologia romanza.  Nella prima parte della sua vita, non riuscendo a campare tra reliquie e reperti fossili, fece un concorso da bibliotecario, lo vinse e si ficcò per nove anni negli anfratti del Seminario maggiore di Ferrara. Nove anni tra i preti. E’ per questo che, nella seconda parte dell’esistenza, da scrittore di successo, Simoni non manca di inserire nelle sue pagine legioni di fratacchioni morti ammazzati. La vendetta postuma di un nerd della letteratura.

Marcello Simoni è il re del “thriller storico”, un fenomeno planetario sussurrato. E’ una sorta di Umberto Eco che ha letto Agatha Christie che si è abbeverata alle caligini horror dei fumetti di Dylan Dog che ha viaggiato da fermo come Emilio Salgari: “Fatico a muovermi, prima non arrivavo a Bologna” spiega sempre “adesso sono costretto a spostarmi in Europa per presentare i miei libri. Ma a me, come a Salgari, piace vedere il mondo nella letteratura”, dice. E, così dicendo, Simoni ha venduto due milioni di copie, tradotto in 20 paesi. Un mostro. Un mostro con la faccia da bibliotecario gentile sperduto tra gli scaffali. Un bestsellerista che ora esce con La profezia delle pagine perdute (Newton Compton euro 9,90, pp356), ultimo episodio della “saga italiana del mondo”. Laddove il suo protagonista Ignazio da Toldeo mercante di reliquie vissuto nel XII secolo è creduto morto e vive nel viaggio di suo figlio Uberto mentre raggiunge la corte di Sicilia nella speranza di riabbracciare la sua famiglia; epperò qui s’imbatte in Michele Scoto, astrologo personale dell’imperatore Federico II, che imprigiona la sua famiglia convinto che il mercante gli abbia sottratto e nascosto un libro misterioso, la leggendaria Prophetia Merlini. “Uberto ignora che le sue disavventure siano intrecciate a quelle di un uomo senza passato che sta navigando su una nave di pirati barbareschi lungo le coste dell’Africa settentrionale e del mar Rosso. Il suo nome è Al-Qalam e, obbedendo gli ordini di un crudele capitano, è alla disperata ricerca di un tesoro inestimabile risalente a re Salomone e alla Regina di Saba”, recita la sinossi. Insomma, il solito intreccio sincopato di azione, mistero e magia. Non è un caso che Simoni, dei suoi personaggi, dica “li vedo come un mazzo di tarocchi, ogni arcano ha uno straordinario potere evocativo: sono archetipi subito riconoscibili, il cavaliere, la maga, l’assassino. Poi ci gioco e aggiungo variazione sul tema: infrango le regole”. Ci gioca molto.

Simoni è un autore fuori tempo. Ama i libri di Walter Scott (Ivanhoe su tutti), i fumetti della Sergio Bonelli e gli affreschi dell’ Apocalisse nell’abbazia di Pomposa; si crogiuola nelle grandi allegorie medievali  dell’Hypnerotomachia Poliphili, romanzo decorato da Aldo Manuzio; si ispira a Falcones e Ken Follett; e si infila nel dettaglio documentaristico pur se ama imbastire l’ “ordito rimasto a metà” della cronaca storica con fantasie alla Clive Cussler. “La scrittura è un’isola misteriosa. Al governo ci sono solo io e racconto storie per sfuggire alla noia del quotidiano”, confessa lui alla Stampa”. Soprattutto sforna best seller a ritmo delle brioches croccanti d’un fornaio. Col suo primo libro Il mercante di libri maledetti, il bibliotecario, nel 2012, vince subito il premio Bancarella. “Il successo mi ha terrorizzato, dopo il Bancarella temevo di non riuscire a scrivere altri romanzi e per me la continuità, la durata, è fondamentale. Amo le saghe. Poi ho capito che il segreto dello scrivere non sta nell’usare troppo l’intelligenza, ma nel rallentarle a lasciarsi trascinare dal flusso impetuoso delle storie. Sennò si rischia di annoiare il lettore; guarda Eco, è stato istintivo nel Nome della rosa ma troppo intelligente nel Pendolo di Foucault…”, afferma lo scrittore. Simoni verga i suoi testi basandosi su storyboard immaginari, su particolari visivi: carrozze, galee, cavalli, monete antiche, abiti. Simoni si presenta come uno straordinario narratore dell’invisibile. Come H.P. Lovecraft è in grado di creare dal nulla uno pseudobiblion, un libro mai esistito spacciato per vero, l’Uter Ventorum testo, secondo la leggenda che può evocare gli angeli. Che in effetti svolazzano davanti allo stesso Simoni sotto forma di contratti milionari. Il resto appartiene alle cronache dell’editoria. Nell'ottobre 2012 l’uomo pubblica La biblioteca perduta dell’alchimista e, a partire dall'agosto dello stesso anno, Rex Deus. L'armata del diavolo, ebook a puntate poi pubblicato in cartaceo. Dal 2016 inizia a collaborare anche con Einaudi, pubblicando per la collana Stile libero una saga ambientata nel Seicento e dedicata alle indagini dell'inquisitore Girolamo Svampa. Nel 2019 esce con un breve giallo medievale per Mondadori, Il lupo nell'abbazia. Il 21 gennaio 2020 diventa talmente autorevole da essere invitato in Senato, a discutere di letteratura, “di democrazia e del rapporto tra uomo e potere”.

Oltre alla densità di scrittura, molto pop, Simoni ha il merito di aver illuminato con la torcia della scrittura la buca scura del medioevo, ristabilendo un ordine naturale: “Esistono molti Medioevi. Quello che precede l'anno mille è embrionale e caotico. Però dà vita al monachesimo, produce scrittori, vi avvengono le prime traduzioni. Dopo il mille nascono i Comuni e le università, la medicina avanza e gli individui comprendono di appartenere a una fase segnata dal progresso. È l’alba del Rinascimento…”. Me l’immagino dietro una cattedra davanti a una classe rintronata dalla Dad

 

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