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Luigi Crespi, parla l'ex sondaggista di Silvio Berlusconi: "Quando gli exit poll diedero Rutelli in testa si arrabbiò con me"

Giovanni Terzi
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Luigi Crespi è un uomo che ha vissuto molte vite in una: da giocatore di football americano a pubblicitario, da sondaggista, quasi per caso, a spin doctor, da coach a autore cinematografico, capace di portare due documentari in cinque anni alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia. Oggi, Luigi Crespi, lavora per grandi società multinazionali di comunicazione gestendone le strategie aziendali. «Nel tempo ho sviluppato una metodologia formativa di edutainment che per la prima volta è stata messa a disposizione nei corsi de "La Fabbrica dei leader" brand di Proger Smart Communication, società di comunicazione e produzione cinematografica diretta da Marco Lombardi».

Hai quindi abbandonato completamente la politica ed i sondaggi?

«Sì, quando ho capito che per fare lo spin-doctor devi votare il partito per cui lavori ho compreso che quel mestiere era finito. Nel mondo politico informazione e propaganda si sono sempre di più mischiate in modo assolutamente privo di senso».

Un esempio?

«Oggi si pensa che gestendo l'informazione in Rai si vincano le elezioni e non è assolutamente così. È raro che si riesca a costruire un piano di comunicazione strategica su un candidato perché tutto è così rapido che il risultato serve ancor prima del progetto».

Tu iniziasti con Gianfranco Funari?

«Funari, per me e mio fratello Ambrogio, fu un vero e proprio maestro e mi insegnò tutto della televisione. Quando lo conobbi io lavoravo per delle televisioni private e fu un incontro davvero speciale». 

Lo puoi raccontare?

«Funari mi vide a Ponte di Legno, dove aveva una casa mia moglie Natasha, insieme ad Antonio Marano. La prima cosa che mi disse fu "se vuoi lavorare con me in tv devi perdere trenta chili"».

E tu?

«In tre mesi li persi e tornai da lui».

 

 

 

 

Quale era la grande virtù di Funari?

«Essere un uomo vero che faceva sempre capire da che parte stava senza reticenze e con grande coraggio».

Un esempio di come si comporterebbe oggi Funari?

«Prenderebbe violentemente posizione contro quelli che non si vaccinano, questo approccio di pancia ed umano spesso me lo fanno mancare».

Funari era vicino alla Lega di Bossi...

«Infatti iniziai a lavorare in via Bellerio con Bossi, Maroni e Speroni, fin quando non ci fu il ribaltone in Parlamento con il tradimento della Lega. Sono sempre stato un garantista e quel passaggio politico non mi piacque».

Così iniziasti a lavorare per Berlusconi?

«C'è da dire che fino al 1996 era Gianni Pilo il sondaggista di Berlusconi ma venne fatto fuori perché perse le elezioni a favore dell'Ulivo di Romano Prodi».

Ma come hai conosciuto Silvio Berlusconi?

«Lavoravo in Rai e facevo il sondaggista per Funari finché Berlusconi andò, il giorno di Pasqua del 1997, a visitare a Brindisi i sopravvissuti dell'affondamento di una nave di migranti, speronata per errore da una nave della Marina Militare. In quella occasione Berlusconi si commosse ed io valutai che quel momento verità gli era valso qualche punto in più in termini di consenso popolare. Da lì a poco mi fece chiamare e lavorammo assieme per otto anni».

Otto anni importanti dove ci fu anche il famoso "contratto con gli italiani" firmato a Porta a Porta davanti a milioni di spettatori...

"Il contratto con gli italiani fu soltanto la conseguenza logica di un percorso di comunicazione politica che iniziò molto prima. In quel periodo ci inventammo "le navi delle libertà" o la famosa "scelta di campo". Devo dire che furono otto anni molto intensi e che da lui ho molto più imparato rispetto a quanto gli abbia insegnato».

Mi hai detto che il contratto fu la conseguenza naturale di una comunicazione studiata a tavolino.

«Berlusconi sfidava Rutelli che per me è stato il migliore ed il più ostico candidato».

 

 

 

Più di Prodi?

«Prodi costruiva alleanze di potere, Rutelli aveva chiamato Stanley Bernard Greenberg, lo stratega della comunicazione di Bill Clinton, ed era avanti nei sondaggi. Io facevo fatica a comprendere le logiche di una campagna elettorale così innovativa e decidemmo, insieme a Deborah Bergamini, di avvalerci di qualcuno che ci facesse capire le dinamiche della campagna elettorale di Rutelli».

E chi chiamaste?

«Frank Ian Luntz, altro guru americano che lavorò con Ronald Reagan. Lui ci spiegò bene tutto e iniziammo a risalire la china».

Arrivando a far siglare il contratto con gli italiani?

«Fu un percorso articolato quello del contratto. Già Reagan aveva siglato un patto con gli elettori e non volevano essere additati come copioni e così cercammo di mettere insieme una promessa che fosse limitata nel tempo ma sintetica ed efficace. Berlusconi era, in quel tempo, l'uomo dell'imprenditoria e del fare e così andammo da un notaio di Milano per farci scrivere, in modo tecnico e su carta bollata, quel famoso contratto divenuto famoso, anche se...».

Anche se cosa Luigi?

«Quel contratto subì tanti emendamenti e venne più volte modificato e, comunque, fu mantenuto nei cinque punti promessi».

Così Berlusconi vinse le elezioni...

«Fu una notte terribile perché ci davano per sconfitti agli exit poll. Io ricevetti una telefonata di Berlusconi arrabbiatissimo con me ma, alle 5,30, del mattino mi chiamò Micciché dalla Sicilia e mi diede il risultato dei seggi non ancora pervenuti (61 a 0 a favore del Polo della libertà). Con quel dato, non ricevuto ancora al Viminale, era certa la vittoria».

E lei cosa fece?

«Chiamai Berlusconi dicendogli che era diventato Presidente del Consiglio e che volevo essere io a dargli la notizia».

Oggi lavori per le più importanti multinazionali della comunicazione, cosa è cambiato nel marketing politico?

«Tutto si è modificato. Non esistono nemmeno più le risorse capaci di costruire una progettualità di medio e lungo periodo. La ricerca di un semplice like sulla foto non è lo specchio del paese reale».

Torneresti a occuparti di politica?

«Quello che da anni sto facendo mi regala grandi soddisfazioni e in più, oggi, la mia battaglia primaria è quella per fare avere la grazia a mio fratello Ambrogio, regista antimafia».

 

 

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