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Edward Luttwak, "ecco che fine faranno i cinesi": profezia nera e caos globale, uno scenario estremo

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Edward Luttwak  

Mirko Molteni
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Alla conferenza G20 di Roma s' è assistito a prevedibili dichiarazioni sul clima e sulla pandemia Covid-19, nonché al video-intervento del presidente cinese Xi Jinping. "L'imperatore rosso" ha usato la conferenza per pubblicizzare gli affari con la Cina come «garanzia di sviluppo per tutti», aggiungendo che sull'inquinamento «i paesi sviluppati devono dare l'esempio». E si sa che la Cina, per convenienza, si autoconsidera ancora "in via di sviluppo". Caustico nel commentare la situazione è l'esperto di strategia americano Edward Luttwak, che già giorni fa, in un convegno alla Luiss Business School di Roma aveva criticato la propaganda filocinese: «L'unico posto in Occidente dove i cinesi hanno grande influenza sociale è l'Italia. La propaganda cinese conta su gente come Romano Prodi, che in Cina vende milioni di libri, Massimo D'Alema, Giovanni Tria. Tutti vanno in televisione a inneggiare alla Cina». E rincarava: «Romano Prodi lavora per i cinesi. Trovatemi un altro ex primo ministro che lavora per i cinesi».

 

 

Non le pare che questo G20 lasci il mondo come l'ha trovato?
«Il G20 è un raduno di grandi potenze e di accattoni per dar l'illusione che si farà qualcosa per risolvere i grandi problemi mondiali, ma non porterà a nulla. Ogni potenza parla per sé, ma tutte insieme non vanno d'accordo. Pensiamo già all'esempio del G7 o del G8, con 7-8 paesi che non sono mai stati capaci di collaborare contro il terrorismo islamico. Figuriamoci come possano ben 20 paesi uscire da un vertice con una politica coerente e unanime. È un'operazione di facciata per mostrare ai paesi poveri che i paesi più forti si preoccupano per loro. Ma è una scatola vuota. O meglio, in realtà il G20 crea per il Comune di Roma occasione di visibilità e indotto economico. Da questo punto di vista, a Roma forse sperano, un giorno o l'altro, di ospitare non un G20, ma un G69».

 

 

Oltretutto, se si leggeva il G20 come preparatorio della conferenza sul clima Cop26 in corso fino al 12 novembre, lo scoglio della Cina smonta già tutto. Che ne pensa?
«La Cina è il maggior inquinatore del mondo e vuol continuare a esserlo, non rinunciando al carbone, tanto da prenderselo all'estero. Negli ultimi anni s' era messa a importare molto carbone dall'Australia, per costi convenienti rispetto a quello estratto in Cina. Ma dall'autunno 2020 s' è rifiutata di comprare carbone australiano chiedendo, con un ricatto, che gli australiani chiudano il loro centro di ricerche strategiche Australian Strategic Policy Institute, che ha avvertito il governo di Canberra dei pericoli dell'abbraccio con Pechino. Pechino, poi, osteggiale indagini di Canberra sulle origini del virus Covid-19 e sulle responsabilità del regime. Senza il carbone australiano, in Cina c'è stata insufficiente produzione di energia elettrica, sfociata in blackout. Così i cinesi sopperiscono riaprendo miniere di carbone in Mongolia Interna, importandone altro dalla Russia e mollando un po' sull'embargo d'acquisti con l'Australia».

 

 

I cinesi credono forse di poter fare, e imporre, ciò che vogliono grazie alla rete commerciale, in primis la Nuova Via della Seta, con cui stanno imbrigliando il mondo?
«Il piano cinese di stabilire un'egemonia economica sul mondo è destinato a fallire per un motivo molto semplice. Prendono la gente a calci. Con l'atteggiamento scontroso del loro regime comunista, i cinesi stanno litigando con tante nazioni».

Quindi la forza della Cina può rivelarsi una "tigre di carta", avrebbe detto Mao, se gli altri decidono insieme di ostacolarla?
«Non è il Dipartimento di Stato degli USA a imbastire alleanze internazionali dirette al contenimento della Cina, come pensano a Pechino. Sono i governanti cinesi che, col loro modo di fare, intimoriscono molti paesi e suscitano la comparsa di tali alleanze. Quei politici italiani che lavorano per gli interessi di Pechino continuano a credere che la Cina possa produrre qualsiasi cosa con altissima tecnologia. Non è vero. I cinesi sanno fare le calzette e le automobili, forse gli aeroplani, quando non copiano, ma nell'elettronica avanzata importano la maggior parte dei microchip e dei semiconduttori da Taiwan».

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