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Tomaso Montanari, il guru di Fedez: "Più visione nei testi del rapper che nella politica di Mario Draghi"

Giovanni Sallusti
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L'altra sera Tomaso Montanari, rettore duro e puro dell'Università per Stranieri di Siena in lotta con l'establishment reazionario, era nel luogo che bazzica di gran lunga di più. No, non le aule universitarie, i salotti televisivi. Nella fattispecie, quello gruberiano di "Otto e Mezzo". E non ha trattenuto il suo entusiasmo per le magnifiche sorti e progressive spalancate dalla notizia politica del decennio: la (ipotetica, allusiva, in lieve odore di marketing, ma trattandosi di potenziali statisti comunque epocale) discesa in campo di Federico Leonardo Lucia. In arte, Fedez (sempre si vogliano limitare al campo artistico versi che assurgono a vette metafisiche, come "Stupro la Moratti / e mentre mi fa un bocchino / le taglio la gola / con il taglierino"). Di fronte alla domanda di Lilli su questo possibile spartiacque della storia nazionale ("sarebbe un bene per la nostra democrazia?"), Montanari s' illumina: "Bisogna vedere cosa si intende per politica. Fedez fa già politica con i testi che scrive" (come dimostra la succitata critica dialettica e tutta politologica alla Moratti). Non solo: "Forse c'è più visione nei suoi testi che nell'intera politica del governo Draghi".

 

 

 

Massì, usando il linguaggio di un altro cresciuto nel massimalismo di sinistra come Montanari, Benito Mussolini: tre quarti del Parlamento che sostengono un esecutivo di emergenza ridotti a "bivacco" per i "manipoli" laccati e arcobaleno spronati dai Ferragnez, il combinato disposto tra il capopartito Fedez e la First Lady Ferragnez (o viceversa). D'altronde, continua il rettore ormai in estasi mistica per il rapper con la terza media, "si discute ancora di eleggere Berlusconi al Quirinale, penso che la politica di Fedez sia un'altra cosa". "Una politica più improntata all..." prova ad indagare una Gruber ormai sbigottita dal suo stesso ospite. Il quale non devia di una virgola: "Alle idee, al costume. Sono voci importanti".

 

 

 

È chiaro: Tomaso Montanari, l'accademico per cui "Draghi è come Bolsonaro" e la Giornata del Ricordo per le vittime delle Foibe "un clamoroso successo di falsificazione storica" (poi dici che l'università italiana è in crisi) si candida a ideologo del Fedezismo. A intellettuale di riferimento di questa coerente evoluzione del progressismo 5.0: stramberie censorie come il Ddl Zan (la cui bocciatura il rettore ha definito "una sconfitta per la democrazia", avvenuta nel tempio e con le procedure della democrazia, del resto l'ossimoro è alla base del matrimonio tra Fedez e la politica), feticci ideologici come lo ius soli, l'allarme antifascismo strimpellato a caso su Twitter ("il ritorno del rimosso", tenta così Tomaso di imbellettare culturalmente le sparate da doposcuola di Federico). Intellettuale organico, avrebbe detto Antonio Gramsci, quando la sinistra era una cosa seria. Tragica, complice o comunque compiacente col totalitarismo che ha più insanguinato il Novecento, ma appunto seria. Da Gramsci a Togliatti, dalla disputa di questo con Vittorini sul Pci e gli scrittori a Berlinguer e i contorcimenti dell'eurocomunismo, fino al Fedezismo cui è pronto a dare sistematizzazione teorica Montanari. Dalla tragedia alla farsa.

 

 

 

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