Max Calderan, l'uomo che cammina 90 ore senza mangiare né bere e non dorme per 3 giorni: oltre i limiti umani
Conduce il proprio corpo oltre il limite. Oltre l'umano. Le sue imprese sono esperimenti estenuanti, allenamenti massacranti, sacrifici inenarrabili, privazioni fisiche e alimentari sfibranti. Vanno oltre ogni immaginazione. Tutto questo con l'obiettivo di poter essere libero. Senza dipendere da niente. E da nessuno. Nemmeno da se stesso. Quando raggiungiamo Max Calderan, 54 anni, sta ristrutturando casa. Sposato, quattro figli, vive a Udine. Il piccolino è nato durante la pandemia. L'ha fatto nascere Max con le sue mani. Si ricordava dei vitellini che avevano i nonni. «Ristrutturare casa sembra più difficile di un'impresa nel deserto», ci dice ridendo Max.
Lui è l'uomo che ha sfidato il Quarto Vuoto, l'inesplorato deserto del Rub al Khali. Sulle gambe e sulla mente vanta 14 prime mondiali di esplorazioni desertiche. Lui è passato dove nessuno era mai stato. Sua è la Calderan Line, un'esplorazione storica conclusa poco prima della pandemia, aggiunta alle cartine geografiche della Penisola Araba. Max Calderan, origini venete, ha condotto il suo fisico e la sua mente allo sfinimento, allo stremo di tutto, fino a quella linea sottile dove al di là si accede solo alla fine. Quella linea che ti porta a spegnere il pensiero, mantenendoti vigile. Lui onnivoro di tutto. Divoratore di libri ed esperienze, per vivere ha trovato un metodo, complice la sua estrazione povera che gli ha insegnato a risparmiare, a indossare una maglia fino a che non è logora, e a non sprecare.
Il suo segreto? Togliere. Togliere tutto, spogliandosi del superfluo. Quante sovrastrutture abbiamo che non servono. Quante impalcature sopporta la nostra mente. Ma lui fin da piccolo se ne voleva liberare. A far scattare la molla è stata la paura del buio. I suoi nonni gli avevano detto che di notte c'erano le volpi. E che bisognava fare attenzione. Lui voleva andare su Marte e qui gli avevano detto che non si poteva dormire. Galeotta fu quell'enciclopedia regalatagli dalla madre nel 1974, con cui lui scopriva l'esistenza del Rub al Khali, l'Empty Quarter che sognava di esplorare.
SACRIFICIO DEL CORPO
«Da piccolo volevo capire - ci racconta- cosa accadeva nel passaggio dalla veglia al sonno. La privazione di sonno, se non improvvisata perché questa conduce a danni, ti porta in un mondo che non avresti mai detto». Lui che dorme due-tre ore a notte, come rituale ha il caffè delle quattro del mattino. Una moka da due con un cucchiaino di miele biologico e un biscottino, biologico anche questo. Quando ha attraversato il deserto non avendo moka, tazza e cucchiaio, metteva in bocca una bustina di Nescafé e via giù impastava polvere acqua e biscotto. È stato sottoposto anche a un esperimento con l'Università di Udine per 80 ore di veglia.
Da ragazzino sfidava il gelo uscendo in maniche corte. D'estate indossava il piumino. Per testare il sacrificio del corpo, sulla Pedemontana si preparava un giaciglio fatto di sassi foglie e rami e lì dormiva. «Stavo bene. La natura mi è sempre stata amica. E questa cosa mi è tornata utile nelle mie esplorazioni. Un uomo è programmato per la natura. Non è normale coprirci per quattro gocce di pioggia». Esploratore, laureato in Scienze motorie, ora ha un laboratorio di ricerca sul Microbioma e analisi genetiche. Ma per anni ha fatto l'informatore sul farmaco. La mattina quando doveva andare a lavorare, necessariamente, assolutamente, voleva vedere il primo raggio di sole apparire e quindi via su a piedi, prima che il sole arrivasse a valle. Quando tornava indietro, si faceva la doccia con una pompa che aveva installato in auto. Ancora adesso al mattino esce fuori e si lava a meno dieci gradi. «Da ragazzino- ci racconta-andavo sul torrente, e nudo mi lavavo con l'acqua gelida». Ma per capire gli sforzi del corpo umano ha percorso anche 150 chilometri senza mangiare e bere nel deserto. Suo è l'attraversamento per 90 ore consecutive in Oman.
IL SUO LIBRO
Nell'impresa che ha concluso il 2 febbraio 2020, per cui è uscito il suo libro "La Linea nel deserto" a cura di Simona Recanatini, ossia oltre 1000 km a piedi lungo il Quarto Vuoto, gli ultimi 200 li ha fatti in solitaria - di solito ha un team che monitora - «l'equipe si è rifiutata di procedere a causa della pericolosità del percorso». Con il deserto ha instaurato un dialogo. «Va bene hai vinto tu, gli ho detto. Hai piegato il mio corpo, ma lascia continuare il percorso alla mia anima per poter condividere quest' esperienza con l'umanità». Tanto che l'America ha fatto un documentario distribuito dalla Fox: "Into the Lost Desert". Il 25 gennaio prossimo ripartirà in solitaria per l'Empty Quarter. Requisiti? Spegnere il pensiero.