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L'ambasciatore Massolo: "Vi spiego come fermare Putin, capisce solo una cosa"

Giampiero Massolo

Gianluca Veneziani
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Al momento i piani di pace sono destinati a restare improduttivi perché l'unico linguaggio che Putin capisce è quello della forza. E quindi è con la forza che dobbiamo continuare a rispondergli. Pur senza smettere di ricercare cessate il fuoco e soluzioni negoziate. È la tesi dell'ambasciatore Giampiero Massolo, già direttore del Dis, ora presidente dell'Ispi e di Atlantia.

Ambasciatore, la Russia ha respinto il piano italiano di pace, che prevedeva cessate il fuoco, neutralità dell'Ucraina e autonomia di Crimea e Donbass. Putin potrebbe accontentarsi di tale soluzione?
«Se partiamo dalla situazione sul terreno, non esistono ancora le condizioni perché un negoziato serio si avvii. Putin è convinto di potersi rafforzare, conquistando una parte consistente del Donbass e consolidando i possessi lungo il Mar Nero. Del resto, circa un terzo dell'Ucraina è occupato dalla Russia e Putin difficilmente abbandonerà quei territori. Solo la resa degli ucraini potrebbe convincerlo a un cessate il fuoco. Anche l'aggredito ucraino ritiene di avere molto da difendere, e quindi non considera delle ipotesi negoziali e tanto meno vuole arrendersi. Ciò non significa che si debbano risparmiare interventi diplomatici come il piano italiano, le mediazioni turche o le telefonate a Putin. Per ora però non c'è spazio per una trattativa, parlano solo le armi».

Prima l'incontro con Biden, poi le chiamate a Putin e Zelensky. Draghi può creare i presupposti per un negoziato?
«In questo momento bisogna che l'aggressore si fermi. Non si tratta di creare ponti o fare mediazioni che peraltro restano improduttive e vengono respinte al mittente. Bisogna fermare la guerra, scelta che è solo nelle mani dell'aggressore. La prima cosa fare è rendere all'aggressore difficile il compito, far salire il prezzo della sua follia. Lo si fa restando fermi sulle forniture di armi e rendendo severo l'apparato sanzionatorio contro Mosca, per portarla a negoziare».

 



 

Basterà l'invio di armi a tenere in piedi la resistenza ucraina?
«Di sicuro servirà ad aumentare i costi della guerra perla Russia. E poi il linguaggio della forza è quello che Putin mostra meglio di comprendere.
Lui rispetta di più chi parla con fermezza, un connotato tipico della storia russa».

Dopo tre mesi qual è il bilancio della guerra?
«I russi non stanno vincendo rispetto agli obiettivi iniziali e cioè il controllo facile dell'Ucraina, ma stanno consolidandosi nelle aree conquistate. Gli ucraini non la stanno perdendo, nel senso che la resistenza è ancora forte e contano sulla fornitura di missili a lungo raggio per pareggiare le recenti avanzate russe. 
Poi bisogna intendersi su cosa significa vincere. I russi potranno controllare parti dell'Ucraina ma non prendersi tutto il Paese. Allo stesso tempo per gli ucraini, se vincere significa far tornare i russi a casa, mi pare un obiettivo poco realistico da raggiungere».

A livello diplomatico chi lavora meglio?
«Erdogan gioca su più tavoli. Da un lato fa l'alleato della Nato per riguadagnare punti agli occhi degli U s a , dall'altro ha una cointeressenza con i russi sul piano energetico. La Turchia pone condizioni all'ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato, per far cessare il loro appoggio ai curdi e allentare i loro veti alle forniture militari ad Ankara.
E, visti i precedenti, non è escluso che ricorra ai migranti come ricatto nei confronti dell'Europa. In realtà però, a livello diplomatico, sta prevalendo, malgrado toni diversi, la compattezza occidentale, fatto per nulla scontato.
È l'eterogenesi dei fini di Putin: voleva spaccare un Occidente che gli si è riproposto compatto e ricacciare lontana la Nato che gli si è riproposta vicina».

 



 

L'ampliamento della Nato creerà un'esclalation?
«Svezia e Finlandia si sentono insicure dopo che Putin ha invaso l'Ucraina. Non penso che la loro domanda di adesione influisca sulla guerra.
Non scambiamo la situazione di conflitto con la partita di scacchi che si giocherà dopo e riguarda i futuri equilibri in Europa. Se Putin si rafforza su Mar Nero e Mar d'Azov, due Stati confluiscono nella Nato e vanno a rafforzare il campo occidentale: ciò rientra nella logica della deterrenza. Ma una potenziale escalation non la vedo: anche i russi hanno detto che le scelte svedesi e finlandesi sono decisioni sovrane. Il paradosso è che ora Putin si trova un confine di 1.300 chilometri più lungo con un Paese Nato, non granché come risultato. La conferma che la guerra si sta dimostrando per lui un fallimento militare e geopolitico».

La Ue ha varato un nuovo piano energetico, però importiamo ancora gas da Mosca.
«Questa guerra è un campanello d'allarme sonoro. I paesi Ue hanno una difficoltà ma hanno reagito in modo incoraggiante, a cominciare dal nostro che si è adoperato per trovare fonti alternative. In realtà noi siamo più favoriti della Germania la quale dipende solo dai tubi di gas che arrivano dalla Russia, noi invece potremmo sfruttare le nostre coste costruendo nuovi rigassificatori, e riattivare fonti energetiche interne. Tutto questo potrebbe rendere l'Italia uno snodo strategico fondamentale, cambiando i rapporti di forza in Europa».

In caso di blocco del grano si rischia una crisi alimentare?
«Sul blocco delle esportazioni di grano Putin fa una scommessa rischiosa: non colpisce tanto l'Europa, che non è strettamente legata alle forniture di grano russe e ucraine, ma affama Paesi in via di sviluppo, che la Russia ha interesse a separare dall'Occidente. Insomma, crea un danno proprio là dove potrebbe avere un particolare sostegno. Non mi sembra una grande mossa: infatti ora pare aprirsi qualche spiraglio di dialogo».

Quanto durerà ancora la guerra?
«La guerra è destinata a durare a lungo finché non ci sarà la consapevolezza in Putin che il costo eccede il beneficio. Se non si raggiunge una soluzione negoziale, la Russia si ritroverà sotto sanzioni, impoverita, costretta a cercare alleanze e mercati meno lucrosi di quelli che avrebbe avuto in condizioni normali. E si creerà una conflittualità permanente in Europa, una specie di linea Maginot, con una guerra a bassa intensità. Dobbiamo impegnarci a scongiurare questo esito. Per questo la ricerca di soluzioni negoziate è cruciale». 

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