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Andrea Margelletti, armi a Kiev? "Cosa sta succedendo davvero in Italia", allarme e choc

Mirko Molteni
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Il mondo muta velocemente e l'Italia, presa da beghe interne, non si rende conto di quanto sia pericoloso il momento attuale. Ne abbiamo parlato con l'esperto di strategia Andrea Margelletti, presidente del CE SI (Centro Studi Internazionali) di Roma.

Dottor Margelletti, dopo il vertice Nato di Madrid andiamo verso una nuova polarizzazione del mondo?
«È una polarizzazione solo sul versante dell'Occidente, non esiste un blocco orientale russo-cinese. Fra Russia e Cina l'intesa è temporanea, sulla base di interessi convergenti, infatti c'è competizione anche fra loro. In campo occidentale, invece, prevale la comune aderenza a valori democratici, che vale anche per le nazioni del Pacifico invitate a Madrid, come Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud. Ciò che rinsalda il campo occidentale è la grande preoccupazione, sentita in Europa e in Asia, per ciò che significa l'invasione russa in Ucraina. Il parallelo con la Cina va da sé, considerando le continue incursioni di aerei militari cinesi vicino a Taiwan, l'isola che Pechino reputa provincia ribelle».

È possibile che, come auspica il decano della diplomazia USA, Henry Kissinger, le relazioni con la Russia possano essere recuperate dall'Occidente, reintegrandola in un alveo di relazioni europee e sganciandola dalla Cina?
«Al momento attuale, credo di no. Di sicuro non accadrà con la leadership tuttora al potere a Mosca. Forse accadrà in futuro, con un'altra leadership. Ma parlare di un cambio di dirigenza al Cremlino è azzardato, come una lotteria. Per ora prevale una preoccupazione allargata a tutte le democrazie, dettata dal fatto che il mondo s' è fatto piccolo».

In che senso?
«La preoccupazione strategica ha oggi dimensioni globali a causa della globalizzazione degli ultimi 30 anni. Prima non era così. Ad esempio, nel 1970 la guerra del Vietnam era per gli italiani remota e lontana. Oggi, come il conflitto in Ucraina, anche un conflitto in Asia sarebbe una minaccia agli interessi italiani, data l'interdipendenza odierna. L'abbiamo già visto con il Covid. Dal 1918 al 1920 l'influenza spagnola fece molti più morti del Covid, tuttavia le sue conseguenze per il mondo furono più limitate perché ogni paese era abbastanza chiuso».

Dunque il conflitto iniziato il 24 febbraio 2022 simboleggia un mondo nuovo?
«La guerra in Ucraina è una gigantesca livella, niente sarà più come prima. Ma in Italia non lo capiscono. Per decenni abbiamo pensato che tutto dovesse essere subordinato all'economia e che l'interesse economico dovesse guidare la politica. Non è così. La guerra dimostra che al primo posto c'è la sicurezza. Ancor oggi è grave che la politica e la stampa italiane parlino solo delle ricadute economiche delle sanzioni, senza dire cosa rischiamo davvero. Rendiamoci conto che la possibilità di un allargamento del conflitto alla Nato, e quindi al nostro Paese, esiste. Potremmo ritrovarci in guerra fra due settimane o fra tre mesi. Ma la classe politica italiana non lo capisce».

Che la carneficina rischi di lambire le nostre case, dipende anche da quanto durerà il conflitto. Le sanzioni servono? E le forniture d'armi all'Ucraina bastano?
«Le sanzioni non hanno mai sconfitto nessuno. Al massimo hanno solo indebolito. La partita si gioca sul campo. Gli armamenti dati dalla Nato all'Ucraina sono insufficienti.
Ci si limita a sperare che la Russia, prima o poi estenuata, venga a patti con l'Ucraina. Ma le armi non bastano perché negli arsenali occidentali non ce ne sono abbastanza.
Negli ultimi decenni abbiamo strutturato le nostre forze armate come reparti agili e armati alla leggera per missioni contro il terrorismo. Diamo poche armi a Kiev perché sono i nostri stessi militari ad avvertire che finiremmo con lo scarseggiarne noi stessi, mettendoci in pericolo».


In effetti, pensiamo ai lanciarazzi pesanti. Il presidente ucraino Volodymir Zelensky ne vorrebbe 300, ma l'intero esercito americano avrebbe 900 M270 e 375 M142. Non può dare un quarto di questa forza all'Ucraina. Peggio ancora l'Italia, che ha solo 22 M270. Sempre l'Italia, ha solo 200 carri da battaglia Ariete di cui 80 attivi e il resto in magazzino. Siamo a questo punto?
«Infatti, è un punto importantissimo, mai affrontato dalla stampa italiana, perché la scarsità d'armamenti negli arsenali occidentali, e italiani, ci espone ad altissimi rischi in caso di guerra. La nostra classe politica dovrebbe stanziare fondi d'emergenza per la Difesa. Per costruire 350 nuovi carri armati, ad esempio. Il dramma è che per produrre nuovi carri ci vuole tempo, ma il tempo manca. Potrebbero essere necessari non fra 10 anni, ma fra 3 mesi! In Italia devono capire che la politica estera e di difesa è legata agli interessi nazionali e non ha partito. È grave che la credibilità del nostro paese dipenda da tre persone, il premier Mario Draghi, il ministro degli Esteri Luigi di Maio e il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Affidarsi a un pugno di persone e non a un sistema collettivo di competenze geopolitiche e strategiche, è aleatorio. Cosa sarebbe successo se Di Maio avesse voluto mantenere le posizioni originarie del Movimento 5 Stelle in un momento del genere? In Italia c'è un problema di classe dirigente».

Fra l'altro, non le sembra grave che l'allarme sulla penetrazione russa in Africa l'abbia lanciato, al vertice Nato, il premier spagnolo Pedro Sanchez anziché il nostro governo?
«Ma certo, e sì che è da anni che i russi, tramite la compagnia di mercenari Wagner, allargano la loro influenza sul nostro fronte Sud. Hanno cominciato in Libia, dalla parte del generale Khalifa Haftar, e via via sono penetrati in Mali, Centrafrica, Mozambico. Il tutto contro gli interessi italiani».

Per chiudere, l'assedio delle sanzioni spingerà Mosca ad accaparrarsi le immense risorse dell'Artico?
«È sicuro che lo farà. I russi da anni hanno riaperto molte basi nelle regioni artiche e controllano la rotta marittima lungo il Nord dell'Eurasia, ridivenuta strategica, sia per scopi commerciali che per fini militari, a causa del disgelo sulle coste della tundra. Fra i ghiacci polari c'è un vuoto strategico che solo la Russia sta colmando. Sono regioni in cui le isole e il fondo marino sono ricchissimi di risorse ancora inesplorate, dagli idrocarburi ai metalli rari. La Russia ha molte più navi rompighiaccio degli Stati Uniti. È tutto dire». 

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