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Michele Anzaldi, il "rompiballe" della Rai? "Lasciato a casa"

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Francesco Specchia
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Preferisco ricordarmelo da vivo, il Michele Anzaldi da Palermo. Classe 60, deputato, era il "Pitbull di Renzi", l'azzannatore della sinistra, la proiezione astrale dell'ex missino viterbese senatore Michele Bonatesta (inarrestabile e mitico, pure lui, componente della Commissione Vigilanza negli anni 2000). Era, l'Anzaldi, al tempo stesso lampo e tuono di vezzi e malvezzi nella quiete posticcia di Viale Mazzini. E adesso, dopo due generazioni passate a sfornare comunicati stampa contro politici e giornalisti - politico e giornalista egli stesso -, l'Anzaldi è stato trombato.

LACONICO
Ad essere precisi, è lo stesso Torquemada renziano ex Pd della Commissione Vigilanza Rai ad annunciare in un post su Facebook: «Non mi sono ricandidato, il mio impegno istituzionale termina il 25 settembre». Mai così mediaticamente laconico in vita sua, pare che Michele, in realtà, abbia ricevuto in offerta da Italia Viva un posto in lista dove non sarebbe stato eletto, a meno di miracoli, e per questo abbia rinunciato. I retroscena narrano «che sulla sua mancata elezione ha pesato l'avversione di Calenda che lo avrebbe giudicato non utile nel rapporto con i media». Ora, che Carlone Calenda si lamenti della poca empatia di Michele il tignoso con i giornalisti, be', fa sorridere. Eppure, finisce proprio qui la carriera parlamentare di Anzaldi il watchdog degli watchdog, l'unico mosso dalla trasversale capacità di rompere i coglioni a tutti indistintamente, in qualsiasi ruolo e posizione, anche da fermo. Eppure, fino a pochi giorni fa per Anzaldi le elezioni parevano una replica di quelle del 2013. Dove, dopo aver massacrato in Rai esseri animati e inanimati (dall'ad Campo Dall'Orto messo lì da Renzi al Cavallo Morente di Viale Mazzini, che, ad occhio, prima d'incontrare Anzaldi era un Cavallo rampante), ottenne un seggio alla Camera, blindatissimo, in Emilia Romagna.

Anzaldi lo davano per certo alla riconferma tra le milizie renziane dalla Boschi alla Bonetti, da Rosato a Marattin. Eppure, l'hanno fatto fuori. Non era mai accaduto. Mai. Né quando, fresco di liceo, il futuro onorevole fondò il Telefono Verde di Legambiente. Né quando collaborava con La Nuova ecologia di Paolo Gentiloni. Né quando divenne silente e minaccioso capo ufficio stampa delle varie incarnazioni istituzionali di Francesco Rutelli. E neppure quando entrò in Rai nei programmi dell'allora cognato Gianni Riotta. Ci fu una sola volta, a dire il vero, in cui Michele, nella sua foga giustiziera, rischiò davvero la cabeza. E fu nel 2016, il giorno che criticò, appunto, i vertici renziani e non in Rai - Campo Dall'Orto e Maggioni - nella parte autoassegnatasi del "poliziotto cattivo" (il "poliziotto buono" era Filippo Sensi, l'allora spin doctor dell'uomo di Rignano). E dopo, a raffica, mai domo e sotto spinta inerziale, Michele chiese le dimissioni di Bianca Berlinguer direttrice del Tg3, di Andrea Vianello direttore di Raitre, del conduttore di Ballarò (Rai 3), di Massimo Giannini per «lesa maestà» verso la Boschi. Nel frattempo, attaccò a testa bassa molte trasmissioni Rai.

IL RANDAGISMO
Subito, per lui, il drappo rosso si volse, a vario titolo, verso le Storie maledette (Rai3) di Franca Leosini, la Presa diretta di Riccardo Iacona (Rai3) e L'Arena di Massimo Giletti (Rai1). Ma, ciononostante, Anzaldi rimaneva saldo, fiero e immobile nella sua posizione. Tra l'altro, la sua attività censoria - a volte, bisogna dirlo, meritoria - ha un che di eroico. Soltanto in questi mesi estivi, mentre gli altri si sciacquano le membra al mare, Michele è riuscito ad intervenire sullo squilibrio «nei dibattiti a favore della destra», sul «direttore del Tg2 Sangiuliano candidato con Fratelli d'Italia», sui russi che ci ricattano col gas, sul dibattito iniquo tra Meloni e Letta. Nessuno è mai sfuggito alla sua furia. Ora qualcuno nota che Anzaldi, l'uomo che sensibilizzava il Parlamento al problema del randagismo, subisca, per contrappasso l'ingiusto abbandono da parte dei padroni. Una prece... 

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