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Vittorio Feltri: Gianni Lepre? L'uomo che svela l'unico segreto per la felicità

Vittorio Feltri
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È incredibile quante affinità si possano avere con chi pure è nato e cresciuto ad opposte latitudini rispetto a quelle in cui siamo nati e cresciuti noi e ha ben altro percorso esistenziale. Questa è stata la prima riflessione che ho compiuto leggendo il libro dell'economista e docente universitario Gianni Lepre Con il sole di Napoli negli occhi, le radici di un sogno, edito da Mondadori. Le autobiografie, come le biografie, non mi hanno mai appassionato, il più delle volte le trovo noiose, tutt'altro che avvincenti, però devo ammettere che Lepre ha una maniera di raccontare di sé che quasi ti sembra che stia raccontando di te. Così tu, lettore, riconoscendoti, stai lì incatenato al volumetto allo scopo di capire fino a che punto chi scrive ti conosca.

È questo riconoscersi nella esperienza, nella esistenza, nei pensieri e nei sentimenti altrui ad annullare quel senso di solitudine che opprime l'essere umano. Soltanto sapendo che un altro individuo ha provato quello che pure tu hai provato smetti di sentirti solo nell'universo. Certo, Gianni Lepre è nato a Napoli. Io, invece, a Bergamo. Due realtà completamente differenti tra loro, geograficamente, climaticamente, sul piano degli usi e dei costumi oltre che delle mentalità. E lo erano ancora di più negli anni Quaranta, che sono gli anni in cui io e Lepre siamo venuti al mondo. Tuttavia, siamo figli di uno stesso tempo, ossia di una stessa epoca, sebbene non dello stesso luogo. Ci accomuna quel desiderio di farcela, di emergere, di realizzarci, di fare, quella passione e quella speranza che ci hanno condotti a superare ogni ostacolo e a centrare diversi obiettivi.

L'esistenza non ci ha risparmiato dolori, cadute, fallimenti, schiaffi in faccia, persino tragedie, la più grave delle quali per Lepre è senza ombra di dubbio la perdita del figlio Mario. Eppure non abbiamo mai desistito, rinunciato, non ci siamo mai sottratti alla vita, pure quando abbiamo avuto motivo di credere che essa ci avesse portato via qualcosa, che fosse stata ingiusta. Abbiamo seguitato ad amarla. Ad amarla sempre di più. Anche io sono stato un garzone, come Gianni, il quale se ne vanta. Del resto, io non ho mai visto nessuno cominciare la sua carriera dal vertice, bensì sempre e solamente dal basso.

PROGETTUALITÀ
Una montagna non si scala dalla vetta, ma dalla sua base rocciosa che ci pare inespugnabile. La nostra fortuna è non avere mai smesso di essere quei garzoni che fummo, ovvero di non avere mai smarrito la brama di rimboccarci le maniche e di lavorare ogni santo giorno. Ed ora che siamo settantenni continuiamo a faticare perché questo è l'unico modo che abbiamo per sentirci vivi, per essere vivi. Questa costante proiezione verso il futuro, nonostante siamo alla vigilia degli ottanta, è un elemento miracoloso e salvifico. E mi rendo tristemente conto che persino ai giovanissimi oggigiorno manca questo vitale senso di progettualità, della cui assenza troppo spesso si dà la colpa alla società la quale non offrirebbe possibilità.

Ma neppure a me e a Gianni sono state offerte chance. La verità è che ce le siamo prese o create. Non abbiamo atteso con le mani tese che qualcuno ce le consegnasse preso da un moto di generosità. Ed è questo il segreto della felicità, che non consiste tanto nel raggiungere la meta quanto nell'avere sempre una meta da raggiungere. Invito i giovani a smettere di piangersi addosso. Quando io e Gianni eravamo bambini e ragazzini, uscivamo da un conflitto mondiale che aveva raso al suolo l'Italia, non campavamo mica nel Paese dei balocchi. C'era la fame. E insieme a questa c'era la fame di vita. Sia una che l'altra non ci sono più. Ahimè, non ci sono più. 

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