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Roberto Saviano, il cronista svela il suo metodo: "Poteva ammazzare chiunque"

Francesco Specchia
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La coerenza, innanzitutto. Uno dice: com' è possibile che Roberto Saviano possa querelare cani e porci, e poi, invece, quando querelano lui, l'uomo passi dalla fase Savonarola e quella Mallarmè, ossia la «licenza poetica» usata come corpo contundente? Già com'è possibile che, dopo essersi messo al centro di un contenzioso giudiziario per aver dato dei «bastardi» a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ora Saviano non solo se ne vanti, ma invochi il diritto dello scrittore di fare come cavolo gli pare? È possibilissimo. Sandro Sallusti - da scrittore oltre che da giornalista ancorchè da direttore- ha già marcato la cocente contraddizione dell'autore di Gomorra. Ma ora a metterci il carico da novanta, a rilevare l'eterno paradosso ammantato da livore in cui vive Roberto nostro, è il cronista Simone Di Meo.

 

 

Che così commenta la solidarietà della sinistra e dei colleghi di sinistra del Saviano che ha sì violato la legge ma essendo artista, per lui il reato non sussiste. «Roberto Saviano ha querelato tutti, stavolta a citarlo sono io. Condannato per aver copiato articoli di stampa per realizzare il suo Gomorra, l'ho citato per diffamazione per un articolo che fece su Repubblica nel 2016 in cui dava di matto sul mio modo di fare giornalismo, facendo illazioni su presunte mie amicizie con camorristi e servizi segreti deviati, su confidenti», dichiara Di Meo all'AdnKronos «fu una cosa devastante, che avrebbe potuto ammazzare chiunque, un articolo a doppia pagina con richiamo in prima. La causa è ora in corso al Tribunale di Roma».

 

COPIA E INCOLLA
Di Meo, partenopeo dotato di spiccata ironia, è l'ottimo collega del quotidiano Cronache di Napoli, dei cui articoli Saviano fece astutissimo copia-e-incolla, intascando il successo planetario di Gomorra. Di Meo conosce bene la permalosità dello scrittore. «Lui non ha scritto solo contro di me, ma contro qualunque collega gli facesse notare di aver scritto ben prima le cose da lui riportate. Contro di me ha poi questo forte risentimento per la condanna per plagio, avendo fatto esplodere la questione Gomorra come un puzzle di articoli e informative già pubblicate. Anche la questione con la Meloni mi fa ridere» aggiunge «lui stesso ha usato la querela contro i colleghi giornalisti, ricordiamo la vicenda risibile dello scambio di persona con un povero Cristo chiamato in giudizio come autore di un pezzo giudicato da Saviano come diffamatorio. Il reale destinatario della notifica era oltretutto un giornalista che oggi ha 85 anni e che van ta una esperienza come pochi altri nella cronaca giudiziaria».

 

 

Conclude Di Meo: «E poi quella volta che fece un articolo devastante contro l'attuale presi dente della provincia di Caser ta, allora sindaco di Pignataro Maggiore, che fu arrestato per concorso esterno in associazione camorristica, in carcere, ai domiciliari e poi assolto... Lui fece un pezzo e poi, per evitare la querela, fece una lettera di scuse». La lettera di scuse, nel caso di Savano, è un must. Il fatto è che lettori e scrittori o ignorano i dettagli in chiaroscuro delle carriera di Saviano, o sulle di lui vicissitudini hanno la memoria di un criceto. Infatti, Di Meo, all'appello su La Stampa di «noi scrittori a favore di Saviano» strabuzza gli occhi: «Ma cos' è questa voglia di corporativismo? Io ho scritto 30 libri, ma con Saviano non ci sto». Non ci sta. Il direttore Sallusti parla di «Verbo del Sommo» ad indicare la sempre più frequente abitudine del Saviano furioso a fregarsene delle leggi in nome di una superiorità morale che rasenta il divino. Se non ci fosse di mezzo il codice penale, un Tavor sarebbe perfetto...

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