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Ignazio La Russa? "Così ha salvato un trans"

Pietro De Leo
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«Se qualcuno mi chiede: ma Ignazio La Russa è omofobo? Io dico di no. Altrimenti, non potrei nemmeno più guardarmi allo specchio». A parlare è nientemeno che Vladimir Luxuria, attivista transgender, figura nota nel mondo dello spettacolo, con un’esperienza da parlamentare, alla Camera, nella legislatura 2006-2008 tra le fila di Rifondazione Comunista. E proprio in quegli anni si colloca l’aneddoto che Luxuria racconta a Libero. «Lo faccio di fronte a tutte le polemiche su La Russa dopo la trasmissione Belve», spiega. Ricapitoliamo peri meno attenti: intervistato da Francesca Fagnani, alla domanda su cosa proverebbe se un figlio gli confessasse di essere gay, il presidente del Senato ha risposto: «Accetterei con dispiacere la notizia, ma la accetterei. Perché credo che una persona come me, eterosessuale, voglia che il figlio gli assomigli. Però se poi non mi assomiglia pazienza. È come se mio figlio fosse milanista» (La Russa notoriamente è tifoso dell’Inter). E si è scatenata la bagarre e la ridda di accuse.

 



Luxuria, lei però non condivide queste accuse, perché?
«Ora le racconto una storia, risale al 2007. Non dirò nomi né luoghi, per non violare la privacy di nessuno, ma il fatto è importante».

Sentiamo.
«Era il 2007. Da deputata ricevevo molte lettere, molte mail con richieste d’aiuto, soprattutto da persone trans. Si rivolgevano a me perché sapevano che potevo capire le loro problematiche».

Cosa le scrivevano?
«Episodi di discriminazione, tipo sul posto del lavoro o magari in famiglia. Tra queste lettere ce ne fu una che mi colpì molto, di una ragazza trans. Si era trasferita dalla Sicilia ad una città del Nord, perché il papà e il fratello avevano preso molto male la sua intenzione di iniziare la transizione. Parliamo di un contesto un po’ difficile, in una famiglia con dei precedenti penali. La mamma, invece, l’aveva accettata. Nonostante questo, andar via era stata di fatto una scelta obbligata».

 


E come si ambientò, al Nord, questa persona?
«Bene, aveva un lavoro e un fidanzato. C’era solo il cruccio di non poter tornare a casa, magari a Natale o a Pasqua, per stare un po’ con la madre. Alla quale, un brutto giorno, viene diagnosticato un brutto male. Lo tiene nascosto finché può al figlio, diventato figlia, ma quando ormai non le restava molto da vivere, le dice tutto. Lei, ovviamente, vuole tornare a casa. Ma il padre e il fratello sono inflessibili, le intimano di non provarci nemmeno. E sto usando un eufemismo».

E in tutto questo, però, La Russa che c’entra?
«Io feci una piccola indagine sul paese siciliano da cui proveniva la ragazza e scoprii che il sindaco era un amico, quasi un allievo politico, di La Russa. Perciò gli chiesi un appuntamento e gli dissi: “Ignazio, mi devi aiutare”. Gli raccontai tutta la storia e lo vidi sinceramente scosso dalla vicenda. Chiamò il sindaco. Quest’ultimo fece in modo che quella ragazza potesse tornare a casa in sicurezza, il tutto monitorato dalle Forze dell’Ordine. Ma fece anche un’altra cosa, il sindaco: parlò con il padre e con il fratello, e fu talmente incisivo che quel ritorno a casa si trasformò, per quella ragazza trans, anche nell’occasione per riconciliarsi con i due. La accettarono».

Dunque, l’intervento di La Russa fu decisivo.
«Sì. Ci sono le battaglie politiche sulle leggi, ma poi ci sono i gesti di solidarietà per le persone. E oltre a tutto questo ricordo, peraltro, che lui ha sempre avuto molto rispetto nei miei confronti. Poi, magari sì, la risposta che ha dato a Belve non è stata il massimo. Ma non ha mica detto “chiamo l’esorcista”. Confrontarsi con un figlio che ti confessa di essere gay sarebbe complicato per chiunque, anche per un padre di sinistra. Spesso quello tra padri e figli non è un percorso facile».

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