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Fosse Ardeatine, la figlia di una vittima: "Meloni ha ragione, papà ucciso perché italiano"

Antonio Rapisarda
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Liana Gigliozzi – ottantaduenne lucidissima, nonna di due nipoti «e di un cane» – aveva solo tre anni quando il 23 marzo del 1944 suo padre, Romolo, fu vittima del rastrellamento in via Rasella dopo l’esplosione della bomba partigiana che uccise 33 soldati altoatesini della “Bozen” (più due civili innocenti, fra cui il dodicenne Pietro Zuccheretti). La sua colpa? Nessuna. «Dicono che era schedato come socialista ma in realtà non c’entrava nulla. Uscì dal bar che stava proprio sulla via, preoccupatissimo, per cercare me e mio fratello dopo il boato...». Fermato dai nazisti, finirà per essere il 55esimo martire delle Fosse Ardeatine. «Da quel giorno», spiega Liana a Libero, «è come se fosse morta tutta la mia famiglia. E con la nostra, tutte le altre delle 334 vittime».

Per la morte di suo padre lei ha sempre denunciato una responsabilità storica e una morale. Ci può spiegare a cosa si riferisce?
«Mio padre è stato ucciso dai tedeschi ma sono stati i “gappisti” a volere la rappresaglia».

Dunque i partigiani sapevano a cosa sarebbe andata incontro la società civile con quell’attentato.
«Certo. Ho il ricordo personale di mia madre. La sera dell’attentato, dopo poche ore, ci fu un comunicato radio: spiegava che doveva presentarsi il responsabile dell’attentato onde evitare la rappresaglia. Responsabile e responsabili che ovviamente non si sono mai presentati. Pensi che si era fatto avanti anche mio zio Domenico, scapolo: “Prendete me a posto di mio fratello che ha due bambini piccoli”. I tedeschi non accettarono. Il risultato è storia: dieci italiani uccisi per ogni soldato tedesco».

Che cosa pensa dell’azione dei comunisti dei Gap?
«Che hanno mandato a morire 335 innocenti. La guerra era di fatto finita, Roma era stata dichiarata “città aperta”. Che atto eroico è stato? Buttare una bomba su trentatré altotesini? Questo ancora deve arrivare qualcuno a spiegarmelo».

Si dice che l’obiettivo fosse far sollevare Roma contro i tedeschi.
«Non è successo. L’attacco non ha avuto nessun risvolto a livello politico. Sempre se in realtà – come sostengono alcune tesi – l’obiettivo dei gappisti non fosse quello di far colpire l’altra cordata, non comunista e interna alla stessa Resistenza. Il risultato, per ciò che mi riguarda, è che sono cresciuta senza padre. Finita in un collegio. Chi devo “ringraziare” per questa infanzia e questa adolescenza negate?».

Per Ignazio La Russa l’attentato di via Rasella non è stata una delle pagine più gloriose della Resistenza.
«Ha perfettamente ragione. Di che gloria dovremmo parlare? Dietro a quell’azione il prodotto furono le vedove e i bambini rimasti orfani».

La sinistra ha polemizzato, e continua a farlo, pure per le parole di Giorgia Meloni sulle vittime delle Fosse Ardeatine: innocenti massacrati solo perché italiani.
«Il premier ha dichiarato la verità. Che cosa vogliono dimostrare i critici? Non era vero? Ne presero dieci per ogni tedesco. Non solo antifascisti. Furono ammazzati in quanto italiani, a prescindere dalla loro appartenenza politico o religiosa. Mio papà stava al bar, era socialista ma è morto con la giacca bianca da lavoro...».

In questi lunghi anni lei lo ha ripetuto spesso: basta odio.
«Pensi che non ce l’ho avuta nemmeno con Eric Priebke. Che ho voluto incontrare, fra mille polemiche, affrontare e guardare in faccia per chiedergli se fosse stato lui a sparare a mio padre Romolo».

E i partigiani coinvolti direttamente – e non – li ha mai incontrati?
«Qualcuno di loro – irritato per la mia ricerca di verità (e mi auguro che dopo di me continuino i miei nipoti) – arrivò a dire che ero una matta, che quella bomba mi aveva rovinata. Sempre con quell’arroganza che li contraddistingue».

Figuriamoci dopo che lei, nel 2016, accettò di candidarsi “simbolicamente” a sostegno proprio di Giorgia Meloni come sindaco di Roma...
«L’ho fatto perché ho sempre voluto evitare le etichette. E di Giorgia Meloni ho sempre apprezzato la persona, non solo il politico di cui comunque condivido tanto. Per ciò che riguarda il resto: la guerra non aveva senso allora, figuriamoci adesso». 

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