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Baiardo si confessa: "La foto di Berlusconi con i Graviano? Ecco la verità"

Andrea Morigi
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Salvatore Baiardo, al centro del caso del siluramento di Massimo Giletti da La7, è testimone di una stagione di inchieste e processi sui misteri della storia d’Italia. Ora promette di raccontare tutti i misteri della sua vicenda giudiziaria in un libro, in uscita alla fine di maggio, La mia verità, per i tipi di Serradifalco Editore. Lo ha pensato come un monito ai giovani, perché evitino le tentazioni di affiliarsi alla criminalità organizzata, ma anche come un aiuto concreto ai ragazzi autistici in difficoltà, per i quali ha un progetto di inserimento nel mondo del lavoro. E devolverà i diritti d’autore per quella causa. In una pasticceria del centro di Palermo, Baiardo mette in chiaro con Libero il suo pensiero sui rapporti fra le istituzioni e la mafia.

 

 

 

La prima domanda è: lei è un pentito, come dicono alcuni giornali?
«Assolutamente no, anche perché non ho niente da pentirmi, come Baiardo Salvatore di quello che ho fatto e non ho neanche da pentirmi davanti ai magistrati».

Ha scontato quattro anni e mezzo di carcere, comunque.
«Tanti dicono che la pena che ho scontato è lieve, ma vabbè. Per me comunque sono stati anni pesanti».

E questo per aver favorito la latitanza dei fratelli Graviano. Come li aveva conosciuti?
«Mi erano stati presentati nel 1989 da parenti che abitavano a Palermo, di cui la mia famiglia è originaria. Io abitavo in Piemonte, a Omegna, dove ero consigliere comunale socialista. Ma non sapevo chi fossero. Solo nel febbraio 1992 si sono trasferiti definitivamente a Omegna. È stato allora che mi hanno detto chi erano chiaro e tondo, e ho capito chi erano i veri fratelli Graviano».

Cioè i boss del quartiere Brancaccio?
«Così dicevano. Però ho visto anche che le loro intenzioni erano di rimanere al Nord per uscire da certi ambienti, cercando di cambiare vita. Molti ne dubitano, ma io non ne capisco il motivo anche perché le famiglie si erano proprio completamente spostate dal quartiere Brancaccio e da Palermo. Addirittura prima vivevano a Nizza, in Francia».

Si pensa che un mafioso sia mafioso per sempre. Non è così secondo lei?
«No, il mafioso resta mafioso quando resta sul proprio territorio. Ho provato a smontare quella teoria in diverse trasmissioni televisive, spiegando che un Totò Riina, un Bernardo Provenzano, un Matteo Messina Denaro sono stati arrestati tutti in Sicilia, nel loro territorio. Perché? Perché intendevano continuare a gestire le loro attività di malavita. Mentre, quando i fratelli Graviano cercano di cambiare vita, si spostano al Nord ma permanentemente».

Non sono più tornati in Sicilia?
«Sono balle, sono invenzioni delle procure, anche perché chi lo ha dichiarato sono due pentiti: Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina. Ma sono pentiti di che cosa? Di quello che hanno magari sottratto ai Graviano. Lo so perché mi è costato in prima persona. Intendo sottratto in termini di denaro. Dicono che i Graviano scendevano in Sicilia, ma a me non risulta. Non so se magari in un giorno facessero una toccata e fuga. Non lo so, questo può succedere. Io non è che fossi proprio sempre attaccato a loro».

Ma lei non li ha ospitati in Sardegna?
«Io ho affittato una villa per loro».

E su questo si favoleggia parecchio. Chi erano i proprietari?
«La famiglia Bianchi, ma io l'ho presa tramite un’agenzia immobiliare».

E i vicini chi erano?
«La proprietà confinava con quella di Ennio Doris, mentre più avanti c’era la villa di Silvio Berlusconi, secondo le informazioni che ci avevano dato all’agenzia».

Non è stato lei ad accompagnare i Graviano da Berlusconi, quindi?
«Assolutamente no. Mai. Non credo nemmeno che si siano mai conosciuti».

Non si sono mai visti?
«In mia presenza, no. Anche se mi accostano a queste ipotesi, che non hanno nessun riscontro».

L’accostano anche a una foto in cui sarebbero ritratti Silvio Berlusconi, Giuseppe Graviano, e il generale dei Carabinieri Francesco Delfino.
«Così mi è stato detto alla Procura di Firenze il 27 marzo scorso durante un interrogatorio. Io ne sono venuto a conoscenza solo allora. Non avevo nemmeno mai saputo che esistesse una foto del genere».

Chi ce l’ha, se davvero c’è?
«Non ne ho idea. I magistrati mi hanno detto che Massimo Giletti afferma di averla vista e perfino toccata nel mese di luglio 2022».

Lei, invece, non l’ha mai vista o toccata?
«No, mai. E mi domando perché Giletti non lo abbia detto prima. Risiede lì l'assurdità delle sue dichiarazioni. Penso che dovrà provare tutte queste cose. Perché sono proprio campate per aria. Eppure i magistrati sostengono che esiste in quanto lo ha detto Giletti, che è persona credibile. Mentre la parola di Baiardo, un pregiudicato, vale molto, ma molto meno. In realtà l'unica notizia che i magistrati hanno di quella foto è quello che dice Giletti».

Ma tutto risulta utile per evitare l’archiviazione delle ipotesi di reato a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri.
«A marzo hanno chiesto e ottenuto la proroga delle indagini per due anni».

E questa inchiesta come la coinvolge?
«Come persona informata sui fatti».

Perché lei, con Berlusconi e Dell'Utri, che rapporti ha avuto?
«Nessuno».

Con Paolo Berlusconi, invece, sì?
«Con Paolo Berlusconi ci siamo visti nel suo ufficio di via Negri, ma solo per discutere di cose di lavoro. Avevo chiesto un aiuto per risolvere i problemi con la mia gelateria, perché avevo anche il vizio del gioco e questo mi aveva comportato un po’ di difficoltà economiche. E quindi ho chiesto di un intervento. Ma non minacciandolo, com’è stato raccontato da altri. Avevo visto la sua scorta all’esterno di un ristorante e avevo chiesto loro di riferire che desideravo vederlo. Mi era stato fissato un appuntamento per qualche ora più tardi nell’ufficio di Paolo Berlusconi».

E lei come lo aveva conosciuto?
«In un ristorante a Lesa, sul Lago Maggiore, che entrambi frequentavamo».

 

 

 

Ma non poteva andare a chiedere un po’ di soldi alla mafia?
«Io non ho più avuto rapporti con la mafia».

Beh, qualcuno la definisce il portavoce dei fratelli Graviano.
«Sì, i magistrati come Nino Di Matteo e anche l’ex magistrato oggi senatore dei 5 Stelle Roberto Scarpinato continuano a sostenerlo».

Perché lei avrebbe mandato un messaggio a Berlusconi da parte dei Graviano?
«Nella loro fantasia sì».

E come sostanziano questa ricostruzione?
«Vorrei capirlo. Io, dal giorno in cui hanno arrestato i fratelli Graviano, il 27 gennaio 1994, non ho più avuto rapporti con nessuno di loro o con i loro familiari o con ambienti mafiosi: con nessuno. Poi il 21 febbraio del 1995 hanno arrestato me. Sono uscito il 21 settembre del 1999. E da allora mi sono fatto la mia vita tranquilla con mille problemi e mille difficoltà, ma senza legami con alcuna cosca perché sennò non avrei avuto le difficoltà che ho avuto. Se mi fossi prestato al gioco di favorire qualcuno, la mafia o certi ambienti criminali, non avrei avuto quelle difficoltà, ne sarei venuto fuori prima. Invece, siccome volevo una cosa pulita, mi ero recato da Paolo Berlusconi».

Della recente sentenza della Cassazione, che ha smontato definitivamente il teorema sulla trattativa fra Stato e mafia, lei cosa pensa?
«Io non discuto mai le sentenze, giuste o sbagliate che siano. Le accetto come le ho accettate quando mi hanno condannato personalmente. Io ho favorito la mafia. Va bene: la sentenza che mi ha dichiarato colpevole è giusta. Ma anche se adesso la Cassazione assolve tutti con formula piena e perché il fatto non costituisce reato, dai carabinieri a Marcello Dell'Utri, io non discuto. Non ho una prova contraria».

Oltre che giuridicamente, anche dal punto di vista storico si smonta la narrativa secondo la quale Silvio Berlusconi ha avuto denaro dalla mafia e così ha potuto fondare prima il suo impero e poi un partito e prendere il potere.
«Per quello che so io, Berlusconi ha raccolto denaro in Sicilia, ma non dalla mafia come tanti sostengono. Magari ha avuto finanziamenti da gente benestante di Palermo».

I Graviano per esempio dicono che il loro nonno, insieme ad altri, ha affidato miliardi a Berlusconi.
«Lo hanno detto in tribunale al processo noto come quello della ‘ndrangheta stragista e successivamente in un interrogatorio in carcere anche al giudice Tescaroli, che il nonno ha messo 20 miliardi, insieme ad altri commercianti di Palermo».

La trattativa è stata smentita dalla magistratura. Però rimane il nodo del 41 bis.
«Questo è un nodo sul quale mi sto battendo perché ho provato il carcere. Non nelle condizioni delle 860 persone in regime di 41 bis, che è una cosa a mio giudizio vergognosa. Non intendo giustificarli, perché magari loro hanno fatto cose ancora più vergognose. Ma in Europa ci stanno sanzionando anche sull’ergastolo ostativo e noi stiamo pagando da 8 anni a questa parte fior fior di quattrini di multe all’Unione Europea. Ma tanto mica pagano i magistrati, paghiamo noi italiani e questo è assurdo: perché dopo trent’anni non si leva questo 41 bis?».

Ma l'emergenza che lo giustificava non c’è più?
«Doveva durare due anni, ma questa è un’emergenza che continua, sa perché? La vera trattativa non l’hanno fatta i mafiosi coi carabinieri. La vera trattativa la fanno i magistrati quando vanno a interrogare i pentiti. Non quella che vogliono attribuire a Berlusconi o a Dell’Utri. Le trattative le fanno i magistrati, per farsi dire quello che vogliono loro, anche cose inverosimili. Però se le ha dette un pentito vengono prese in considerazione, senza tenere conto di quello che ha fatto, se ha sciolto un bambino nell’acido e poi esce tranquillo e oggi è libero a godersi i suoi soldi. A differenza di quanto si dice, che il pentito deve consegnare tutto, infatti, lei pensa che Brusca o Spatuzza abbiano consegnato quello che avevano? Dopo quello che hanno fatto? E poi hanno preso soldi, non dallo Stato, ma da noi tutti, perché siamo noi che paghiamo quando lo Stato nel 1993 tira fuori 500 milioni di vecchie lire per pagare un Balduccio Di Maggio allo scopo di catturare Riina. E poi è sparito dalla circolazione. Non si è più sentito parlare di Balduccio Di Maggio. Ecco perché la trattativa non finirà mai. Però non ho specificato da che parte. Perché chi ha il coltello dalla parte del manico sono sempre loro. La parola di Baiardo, invece, cosa vale?»

Beh, qualcosa varrà, se lei ha anticipato per primo che Matteo Messina Denaro avrebbe potuto essere l'oggetto di una trattativa perché forse era malato e forse aveva deciso di trattare per costituirsi.

«Ecco lo stesso Giletti ha continuato a dire che il Baiardo è una persona credibilissima perché tutto quello che ho detto ha sempre trovato riscontro. E non lo dice solo il Giletti. Lo dice anche l’attuale capo del Dap, Francesco Messina. Perciò per Giletti ero credibile, ma ora che dico altre cose che non gli fanno comodo, non gli vanno bene. Ed è vero, ha ragione lui, perché davanti ai procuratori, è incensurato e io no».

Ma altre previsioni non ne ha? Da qui a qualche mese, magari?

«Ci saranno novità, però è troppo presto adesso per anticiparle». 

 

 

 

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