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Michela Murgia, un pensiero fluidissimo: nozze queer e funerale in chiesa

Renato Farina
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È andata via molto in fretta, a 51 anni. Non si può dire nel nascondimento. Michela Murgia era fatta così, non è stata una creatura tipo gazzella che corresse leggera senza scalpiccio di zoccoli pesanti. Si faceva notare. Ha voluto che anche il suo cammino verso la morte, e la morte per cancro, preannunciata con una drammatica intervista ad Aldo Cazzullo (6 maggio, Corriere della Sera), diventasse un rullo di tamburi, un po’ allegro un po’ mesto come il tema musicale di Nino Rota per l’Amarcord di Fellini. In questo modo ha avvolto le sue idee dal manto di sacralità che solo la maestà della morte può trasformare in statue marmoree intangibili, al punto che se le sfiori è sfregio incivile e ti trattano come quell’idiota svizzero che traccia il cuoricino sulle mura del Colosseo: vandalo, analfabeta, e nel nostro caso pure empio per vilipendio dell’eredità spirituale dell’eroina. Eroina certo. Ma gloria di un’intellettuale è che le sue idee si discutano e si critichino, non che siano venerate come oracoli della Sfinge. E quelle statue lì per me – proprio per onorare la scrittrice e teologa sarda – sono toccabili, toccabilissime.

 


Si può? Michela Murgia, da genio assoluto del marketing post-moderno, ha giocato il bonus fantastico che accompagna le testimonianze in articulo mortis per far sì che le sue precarie affermazioni sull’amore e la famiglia multipla fossero trasformate in dogma dal pensiero turibolante dei mass media. Una specie di profezia della vera libertà quello che alla gente comune appare una bizzarria buona per ricchi dotati di grande casa e bel giardino. Ha scritto: «La struttura dei rapporti queer rigetta la fedeltà e richiede l’affidabilità. Con chi vai a letto o di chi sei innamorato sono dati ininfluenti: la romanticizzazione e la sessualizzazione dei rapporti sono le armi con cui il binarismo patriarcale controlla la vita delle persone, specialmente delle donne». Possibile che nessuno le abbia detto che si contraddice? Fedeltà e affidabilità si reggono etimologicamente su fides. Fiducia e fedeltà vanno insieme. Se è impossibile l’una lo è anche l’altra. Certo occorre – dicono i cristiani – la grazia del buon Dio e la forza del perdono.

 


COMPLESSITÀ
Alcune anime pie, dopo aver appreso della demolizione sistematica praticata dalla Murgia della tradizione cattolica, si stupiscono del funerale in chiesa (nella basilica di Santa Maria in Montesanto, a Roma, ore 15 e 30). Costoro hanno capito poco di lei. La sua complessità (senza voler interferire sul mistero del suo rapporto con Dio) era in realtà molto semplice. È stata la scrittrice e forse l’intellettuale cattolica, progressista e politicamente corretta più iconica della nostra epoca. Per questo la sua apparente stranezza ideologica ha avuto alla fine due espressioni sincere ma anche parecchio conformiste: esequie benedette dal prete, nozze civili ma – come si conviene ai tempi- accettate di malavoglia, solo perché del suo corpo e delle sue volontà potesse disporre chi aveva la sua fiducia, «un uomo ma poteva essere anche una donna».


Insomma. Pensiero fluido e insieme prevedibile, consono all’ideale di famiglia libero da legami giuridici, mobile, dove la volontà si fa e si disfa, in cinque, sei dieci amori, contemporanei e comunque transeunti (vedi le foto cerimoniali della sua “queer family”, tutta vestita di bianco). Un’utopia realizzata allineata con il sentimento dell’esistenza pensato anche se non ostentato, perché non è ancora arrivato il momento, dalle élite occidentali. Non è vero, come alcuni sostengono, scrivesse in modo contorto. Era musica dodecafonica alternata da melodie pucciniane. Aveva tutti i colori sulla sua tavolozza. Idee murgiane, dolcissime verso chi amava, e certificate dalla coerenza di una esistenza coincidente con la sua scrittura: lei era la sua scrittura, disposta a dare tutto di sé senza riserve. Lo dimostra il suo testamento, memore di ogni carezza ricevuta.


Idee invece crudeli e sprezzanti - sfruttando l’altissimo pulpito della sua sofferenza vissuta senza mestizia- verso il mondo diverso dal suo mondo. Senza nessuna voglia di sfumature né di tenerezza per chi lei, senza conoscerne il cuore, trattava come un salame da impacchettare come una mummia da bruciare tra i fantocci, perché aveva il torto di indossare la divisa degli alpini come il generale Figliuolo, o non aderiva alla sua personalissima ideologia dell’uguaglianza che prevedeva la mutazione dell’ortografia, trasformando le vocali finali delle parole in una cosa che si scrive, mugolio senza forma. La domanda insomma è questa: se lei fosse stata il vescovo avrebbe concesso, a parti sciaguratamente invertite, il funerale in chiesa a Giorgia Meloni e Matteo Salvini da lei accusati di ogni nequizia?

INCOERENZA
Il giorno stesso dell’intervista a Cazzullo, aveva dichiarato spudoratamente, in un’anticipazione su Repubblica del suo libro destinato grazie alla straordinaria grancassa a mantenere tutta la discendenza della sua famiglia queer, il suo «odio» per i bambini, che se non lo avesse scritto una con il suo pedigree da ex Azione cattolica, ex insegnante di religione per otto anni, laureata in teologia, ultra-progressista, autrice di un libro grosso come uno scaldabagno sarebbe stato qualificato come para-nazista. Ma si è salvata da qualsivoglia polemica dichiarando che stava per morire. Come si fa a detestarla, dotata com’è – com’era! – di quella caparbietà manichea, la piacevolezza del bianco e del nero, o di qua o di là, tranne che nel sesso e nei rapporti d’amore, dove non bisogna né essere né fedeli né coerenti. Fantastico. Michela Murgia sapeva benissimo di godere di questo vantaggio competitivo che dà lo svantaggio di essere morente e di non poter rispondere alle critiche postume, costringendo chi vorrebbe polemizzare a una certa continenza.

Si è gettata fino all’ultima ora nelle polemiche con animo ardimentoso, menando fendenti con il risultato di tacitare tutti. Ha avuto l’immunità come la madre dei condannati a morte che può dire qualunque cosa, scagliare ogni invettiva, nessuno può zittirla, ha troppa forza dentro la sua voce. Una superiorità tanto più marcata e invulnerabile in chi come Michela non si lamenta, non accetta compatimenti, non maledice la propria sorte, pretende che gli altri non si ricordino del suo stato estremo proprio per questo ricordandoglielo meglio. Francescanamente anche il cancro diventa fratello/sorella, accarezzato come intimo amico, dolce suo assassino; ma l’avversario politico o il diverso dal suo sistema di credenze, è praticamente un verme che striscia, non merita rispetto. Beh, noi glielo diamo. Possa tu godere, come hai detto a Cazzullo, nell’aldilà di «una comunione fortissima, continua, senza intervalli».

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