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Museo egizio, un manager si valuta dai risultati

Christian Greco

Luca Beatrice
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Inutile, persino ozioso, ripetere che la politica deve stare distante dalla cultura. È sempre accaduto il contrario, per il semplice fatto che la politica è un’espressione culturale, ha delle idee, detta la linea, compie delle scelte e, più prosaicamente, piazza le persone nei posti. Senza entrare nella solita diatriba - i governi e gli amministratori di sinistra hanno praticato lo spoil system come una delle belle arti, a destra sono meno abituati a maneggiare il tema - è da tempo immemore, però, che il criterio del merito viene usato solo in casi del tutto particolari: dovrebbe essere la regola e invece i criteri utilizzati sono diversi ma non questo.

Si sta parlando parecchio di due casi che a Torino e Firenze investono ancora una volta il difficile rapporto tra i rispettivi mondi. Si parte da un’intervista di Gabriele Ferraris sull’edizione locale del Corriere all’assessore regionale FdI Maurizio Marrone, che nella giunta di centrodestra si è dato molto da fare con progetti nuovi, tentando di operare in discontinuità rispetto al passato e mostrando un certo decisionismo anche nelle dichiarazioni.

 

 

La più roboante, non confermerebbe Christian Greco alla direzione del Museo Egizio, forse per le scorie dell’episodio del 2018, quando ci fu addirittura Giorgia Meloni a contestare l’iniziativa “fortunato chi parla arabo” con l’accusa di razzismo (al contrario) nei confronti degli italiani. Opinione, quella di Marrone, sicuramente personale, che ha messo in crisi addirittura gli alleati, e che non esclude una prima resa dei conti interna poiché l’anno prossimo si vota e FdI vorrebbe avere più peso nell’ipotetica futura compagine. Silenzio da parte del presidente Cirio, la Lega in disaccordo con l’assessore Poggio, fino all’uscita di Andrea Crippa, che torna sull’episodio dei musulmani e ne chiede con veemenza la cacciata, anzi le dimissioni.

Il mondo della cultura, dopo uno strano silenzio, ha levato gli scudi in difesa di Greco, la cui professionalità non si discute e i risultati che ha portato neppure. In realtà la scadenza del suo mandato non è imminente, prima è atteso dalle celebrazioni del bicentenario nel 2024 e comunque l’eventuale decisione su un rinnovo spetta unicamente al consiglio d’amministrazione presieduto da Evelina Christillin. Ad attacco politico corrisponde difesa politica, partitica in qualche caso, e infatti la polemica si è spostata da Christian Greco - e ribadisco, va sostenuto perché lo merita - all’assalto che la destra cattiva sta tentando di portare al regno della sinistra acquisito per diritto divino. Basti leggere il testo dell’interrogazione di Chiara Appendino (già sindaco), peraltro redatto in un italiano stentato.

Da Torino a Firenze, dove volano gli stracci tra Eike Schmidt, direttore uscente degli Uffizi non più rinnovabile, e la programmazione cittadina sull’arte contemporanea, che sarebbe costosa, sbagliata perché privilegia artisti già affermati e non guarda al territorio.

 

 

Schmidt se la prende in particolare con il Museo del Novecento, che sarebbe poco visitato e di conseguenza con il suo direttore Sergio Risaliti accusato di gestione troppo elitaria, la stessa che si rimprovera in generale al contemporaneo. A indagare le ragioni della polemica, nella città di Donatello l’abbraccio tra politica e cultura è ancor più evidente. Risaliti, infatti, è espressione del sindaco Nardella e voci sempre più insistenti danno proprio Schmidt come suo prossimo rivale, in area centrodestra, per Palazzo Vecchio. Non basta: Risaliti sarebbe uno dei possibili candidati proprio per la direzione degli Uffizi, non ha mai nascosto di aver fatto domanda anche per il Bargello, insomma il posto lo vuole e il maggior sponsor è proprio l’attuale sindaco, anche se la nomina è ministeriale.

Pure a Firenze è partito l’appello del “sistema culturale” che si schiera compatto con Risaliti e soprattutto contro Schmidt, a questo punto identificato con la destra dunque bocciato a priori. Come se ne esce? La ricetta è una, soltanto una e non sembra difficile da applicare. Fermo restando che la politica anche oggi fa ciò che ha sempre fatto, a un direttore vengono dati degli obiettivi, se li raggiunge sarà riconfermato, altrimenti va a casa. Se il criterio fosse questo, Christian Greco resterebbe all’Egizio. Lo “scandalo” è invece un altro, quei tanti che sono rimasti inamovibili nonostante un pessimo lavoro, di depauperamento dei musei, di perdita di identità, di scelte inspiegabili. Un esempio: la Galleria Nazionale di Roma, sparita dai radar. Se l’unico modo di cambiare un direttore incapace è quello della politica si proceda all’istante, ma non si sbagli obiettivo. 

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