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Patrick Zaki non molla: "Netanyahu serial killer? Ecco perché lo ho detto"

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"Sono cristiano e sono di sinistra" e "non sono un integralista islamico". Patrick Zaki torna a dire la sua dopo la polemica sollevata e che ha costretto Che Tempo Che Fa posticipare la sua ospitata e il Festival per la Pace di Brescia escluderlo dagli ospiti. Nel giorni scorsi l'attivista egiziano ha fatto discutere per alcune parole da lui pronunciate contro Israele e, in particolare, contro il suo primo ministro Benjamin Netanyahu, da lui definito "un serial killer".

Raggiunto dal Corriere della Sera, Zaki non fa retromarcia ma spiega di essere "contro l'attuale governo di Israele e le politiche che ha seguito negli ultimi anni. E non sono l'unico a pensarla così". L'attivista cita gli Stati Uniti come esempio: "Ho già messo in chiaro qual è la mia opinione riguardo l'attuale governo israeliano al Tg1 e nella mia ultima lettera a Repubblica". E allora come gli è venuto di definire Netanyahu "serial killer"? Semplice, "ho pensato a tutti i civili, a tutte le persone tra cui donne e bambini che sono state uccise a Gaza negli ultimi anni, alla mia cara amica Shireen Abu Akleh, la giornalista che è stata uccisa l'anno scorso da soldati israeliani mentre lavorava in Cisgiordania".

Eppure anche Hamas il 7 ottobre si è macchiato di un massacro, attaccando Israele e uccidendo civili e bambini. "Io - replica a quel punto - sono contro tutti i crimini di guerra. Condanno l'uccisione di civili. L'ho già ribadito più volte in diverse interviste. Sono un militante pacifico per i diritti umani e sono contro ogni forma di violenza. Credo che adesso sia il momento di pensare a come risolvere la situazione e lavorare per la pace in questa parte del mondo". Quindi Zaki condanna il gruppo fondamentalista islamico: "Certo. Io non ho nulla a che fare con Hamas".

 

 

La riprova? "Nel 2014 raccolsi aiuti umanitari per Gaza ma mi dissero che era meglio che non andassi a portarli, perché non sarei stato il benvenuto. Io sono per la Palestina, non per Hamas. E spero che tutti gli ostaggi siano liberati. Tutti, a cominciare dagli italiani. Non dimentico che l'Italia si è battuta per la mia libertà". Arrestato dalla polizia egiziana proprio di ritorno dal nostro Paese, gli egiziani "mi aspettavano all'aeroporto del Cairo da due giorni. Mi hanno strappato il permesso per l'Italia, mi hanno rotto gli occhiali. Mi hanno insultato. E hanno iniziato a picchiarmi. Calci, pugni, botte sulla schiena e minacce". Infine, non è passato inosservato il suo "no" al volo di Stato. Come lo spiega? "Sono un attivista, e voglio essere libero di criticare qualsiasi governo". 

 

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