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Elvis Mbonye, lo scandalo: come si è arricchito il "profeta" africano

Andrea Morigi
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Aveva predetto lo tsunami in Asia nel 2004 ma lo aveva confidato solo agli amici più stretti, sapeva già della Brexit prima del referendum del 2016, conosceva in anticipo anche i vincitori del premio Oscar del 2017 ed era stato avvertito perfino della pandemia e della successiva elezione di Joe Biden alla Casa Bianca nel 2020. Con tali capacità divinatorie, che gli farebbero facilmente indovinare i numeri di tutte le estrazioni, c’è solo un motivo per il quale il sedicente Profeta Elvis Mbonye, ugandese di 45 anni, non si dedica al gioco del lotto: guadagna molto di più a benedire i migranti che vogliono fuggire dall’Africa.

IL TARIFFARIO
Sono i poveracci che, racconta la rivista missionaria Nigrizia, pagano «fior di quattrini» ai «predicatori», personaggi «in grado di giocare sulla buona fede e la speranza di chi non aspira ad altro che a un futuro diverso». Più sborsano, più Elvis intensifica le preghiere affinché possano ottenere un visto per l’espatrio e magari l’ambita protezione internazionale. Il tariffario va dal bronzo (85 dollari) all’argento (185), all’oro (210) fino al platino (275). Ci cascano solo perché sono disperati. Ovviamente, il trucco continua a funzionare solo perla forza persuasiva dell’illusione e dell’inganno.

Fra i 7mila fedeli del guru, che i filmati ci mostrano ben vestiti e composti, seduti ad ascoltarlo in una platea allineata e coperta, ci sono coloro che gli baciano i piedi in pubblico e per di più si dimostrano così generosi da avergli fatto accumulare un patrimonio stimato in 115 milioni di dollari. In realtà, il reddito mensile del 40% degli ugandesi superi appena i 60 dollari, quindi con una capacità limitata di contribuire alle necessità della congregazione religiosa fondata da Elvis, gli Zoe Fellowship Ministries, che infatti coltivano piani di evangelizzazione nei confinanti Kenya e Tanzania, con l’obiettivo di arrivare fino allo Zambia e allo Zimbabwe.

C’è anche chi non si arrende allo stato delle cose, tenta una diagnosi sociale e politica e denuncia la gestione folle dei fondi in arrivo dal primo al terzo mondo. Un’inchiesta giornalistica condotta in cinque Paesi del Continente nero, Camerun, Nigeria, Uganda, Kenya e Zimbabwe, pubblicata in quattro parti sulla piattaforma no-profitZam, ha fatto emergere il fenomeno degli scandali che alimentano il desiderio degli africani di andarsene via per sempre.

Precedentemente il giornalista Theophilus Abbah, dello stesso team, aveva rivelato come erano finiti in gran parte nelle tasche di uomini d’affari e alti funzionari della dogana nigeriana i 250 milioni di euro elargiti dall’Unione Europea per un progetto di controllo delle frontiere e un nuovo sistema di passaporti digitali per la Nigeria, mentre i confini del Paese rimanevano come sempre «porosi». Gli episodi si ripetono all’infinito: in Camerun un mediatore offriva falsi visti per la Francia a 6mila dollari l’uno, mentre “agenzie per l’impiego” in Kenya e Uganda incamerano 76 milioni di dollari l’anno proponendo contratti di assunzione fantasma in Arabia Saudita o altri Stati del Golfo.

LE RISORSE
Pur di andarsene via da casa, i giovani africani credono a chiunque e a qualsiasi promessa. Se sono costretti a rimpatriare, tornano e subito ripartono. Magari utilizzando proprio il denaro degli incentivi a lasciare l’Europa. Così ad aggravare la situazione, oltre alla piaga della corruzione, si aggiunge lo spopolamento delle nazioni, il che rende la crisi migratoria «un incubo per l’Africa stessa». Il risultato è tangibile: «università vuote al posto di atenei che un tempo erano in piena attività, ospedali fatiscenti e istituzioni ed economie statali pervase da incompetenza e nepotismo».

Se tutti coloro che hanno un minimo di professionalità fuggono all’estero, commenta il pool di giornalisti locali, è chiaro che «il vero disagio che spinge all’emigrazione le persone istruite contribuisce a un ulteriore disagio, che a sua volta spinge ancora più persone via dai propri Paesi». È il fallimento delle strombazzate partnership con Europa e Regno Unito, certificato dalle popolazioni stesse come un modo per «pagare i dittatori africani», gente pronta a vendersi al miglior offerente. Tanto che se poi non arrivano più finanziamenti dall’Occidente, i governanti si rivolgono alla Russia o alla Cina, sbarazzandosi degli ex soci stranieri, com’è accaduto ai francesi con il recente colpo di Stato in Niger. Fintanto che non emergerà una classe politica diversa. Magari di ritorno, delusa, dall’Europa.

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