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Alessandro Di Battista, il "mullah Dibbah" lancia la fatwa a Libero

Giovanni Sallusti
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Ieri il mullah Dibbah ha acceso il suo iPhone, purissimo manufatto del capitalismo yankee, ha girato un video presumibilmente nel suo confortevole appartamento romano, l’ha caricato su You Tube, Facebook, Instagram e qualunque altra diavoleria escogitata dalla satanica lobby delle multinazionali, e ha emesso la sua fatwa. Oggetto di essa: Libero, responsabile di un tentativo di “intimidazione”, “soppressione del pensiero critico”, “ricatto mediatico” ai suoi danni.

Il ricatto, nel mondo occidentale che il mullah tanto schifa (ma stranamente non ci ha ancora comunicato un cambio di residenza altrove) si chiamerebbe libertà d’espressione, ma qui siamo dei laiconi degenerati che non praticano nemmeno la sharia, non vorremmo essere pomposi, limitiamoci a definirlo diritto di cronaca. Che ieri questa testata ha sovranamente deciso di esercitare (qui i giornali funzionano così, Dibba, non è La Pravda della tua patria d’elezione putiniana) raccontando quella che era tecnicamente una notizia. Ovvero: lo spezzone di Di Martedì in cui il mullah di Roma Nord inneggiava alla causa palestinese era diventato virale presso siti, tivù, pagine social del mondo dei mullah originari, quello islamico, con tanto di sottotitoli in arabo e diluvio di commenti a favore su «un politico italiano che finalmente dice la verità!». In ventiquattr’ore Dibbah, che a rigore non è più un politico italiano, era diventato molto di più, una webstar dell’universo coranico.

 

 

 

SCANZI IN SOCCORSO

Per cui non sappiamo se sia «normale che Libero abbia messo Di Battista in prima pagina chiamandolo mullah», come ha strillato il socio fattesco Andrea Scanzi ieri sera a Otto e Mezzo, bisognerebbe anzitutto definire la normalità, certamente è possibile, almeno finché non arriveranno i taglialingue anche qui, scrivere un titolo senza previa approvazione della Buoncostume islamofila. Nessuno vuole «provare a intimorirti», caro ex onorevole, non fa proprio parte del nostro Dna di spelacchiati libertari miscredenti, non solo hai l’ovvio diritto di parlare, ma noi auspichiamo addirittura che tu ne faccia un utilizzo smodato. Perché più parli, più voi accorati e manichei difensori del «popolo palestinese» parlate, più emerge quella che per noi era la seconda notizia, che ci ha convinto a dare così ampio spazio al tripudio unanime tributato alla tua performance televisiva sui canali musulmani.

Parliamo dell’oggettiva, autoevidente convergenza tra le vostre tesi e quelle dei nemici fondamentalisti dello Stato ebraico (che è altra cosa dai legittimi critici d’Israele). Una convergenza che il tuo video-fatwa contro questo giornale non fa che confermare.
«Oggi le vittime sono i palestinesi», detto così, con la nonchalance di chi maneggia le certezze della Storia, e può ben scavalcare a piè pari quei kibbutz coi morti accatastati, il sangue rappreso nelle culle, i resti carbonizzati di chi non arrivava all’anno di vita. Dettagli, perfino fastidiosi perla narrazione. «Come dicevano l’altro giorno in studio da Floris: ma voi pensate che gli israeliani vogliano uccidere i civili? Sì, lo stanno facendo».

Che i suddetti civili siano intrappolati nella Striscia come scudi umani dai macellai di Hamas (la cui blanda condanna arriva dopo un quarto d’ora di intemerata social) non conta, conta solo l’esistenza mefitica di Israele. Contano le «colonie violentissime che provocano la rabbia che poi sfocia nel terrorismo, è evidente!», urla quasi il mullah, e forse non si accorge di ripetere le tesi del Sultano liberticida Erdogan, degli ayatollah iraniani che armano il Terrore esterno contro l’ebreo mentre assassinano all’interno le ragazze che non vogliono velarsi, di qualunque canaglia non (solo) islamica, ma islamista, praticante o giustificazionista della Jihad. O forse sì, forse si rende conto, del resto il primo balzo mediatico da deputato lo fece proponendo un approccio originale di fronte alle atrocità indicibili commesse dall’Isis: «Dovremmo smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione».

AUTOPROMOZIONE

Perché Dibbah è così, è tanto ideologicamente oicofobo (“oicofobia” è l’odio perla propria casa e la propria cultura secondo il filosofo Roger Scruton, leggilo ex onorevole, almeno è qualcosa di diverso dai diari del Che) quanto pragmaticamente dedito all’autopromozione. E infatti eccolo lì, sventolando la prima pagina di Libero: «Appena ho letto questa robbba -rigorosamente con tre B, per quanto sia diventato una star internazionale il romanesco aiuta a rievocare un ancoramento popolare, ndr- mi sono messo a fare una risata, ho detto adesso ci faccio subito un video». Ti abbiamo fatto un favore, Dibbah, perché in fondo sei metà mullah e metà influencer, e i palestinesi ingiustamente bersagliati (i kibbutz sono un dettaglio, ricordiamolo) funzionano in entrambi i casi, possono mettere il pollice su sia lo sbandato antisemita che il commentatore progressista (ammesso si riesca ancora a distinguere tra i due). Per cui la fatwa contro di noi è anche uno spot formidabile. Contro le tue stesse idee, caro mullah. 

 

 

 

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