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Antonella Viola e il patriarcato, "anche la Meloni è una vittima"

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Aveva già tuonato contro il patriarcato a PiazzaPulita, scontrandosi con Paolo Crepet. Ora Antonella Viologa, immunologa di fama, spesso ospite dei talk, torna a sollevare il grande tema di questi giorni con un intervento sul blog collettivo del Corriere della Sera "La 27esima ora", in occasione del 25 novembre, la giornata internazionale contro la violenza sulle donne

Il "patriarcato", sottolinea, nasce nell'ambiente culturale che ci circonda e di cui, più o meno consapevolmente, siamo impregnati. "Ed è difficilissimo riuscire a riconoscere i condizionamenti che abbiamo subito e, eventualmente, liberarsene".

 

 

Il dibattito in questi giorni è durissimo anche a livello politico. E la Viola parte proprio da qui: "Fino alla soglia dei 40 anni, sulla questione del patriarcato, il mio pensiero non era forse troppo dissimile da quello di Giorgia Meloni. Ero una donna del sud del Paese, due volte madre, che senza aiuti e senza spintarelle ma con impegno e volontà, si era fatta strada da sola nel mondo scientifico, raggiungendo una solida reputazione e carriera". Pensava: "C’è il merito, e conta solo quello!".

 

 

"L’ambiente in cui ero vissuta aveva agito su di me, facendomi sembrare normale quello che normale non può essere". A far cambiare le lenti con cui guarda il mondo alla Viola l'incontro, all'Università di Padova, co una collega che si occupa proprio di linguaggio e questioni di genere. Entra così in contatto con "pari opportunità, quote rosa, l’importanza del linguaggio giusto e inclusivo". Primo pensiero: "Tanto tempo da perdere. Io, con la mia realizzazione personale e professionale, facevo molto di più per le ragazze che lei con tante chiacchiere". Un po’ quello che, secondo la Viola, "dice oggi la nostra Presidente del Consiglio".

 

 

 

L'immunologa sembra sposare la battaglia di Laura Boldrini: "Mi sono chiesta perché non dovremmo usare la grammatica italiana nel modo corretto e perché 'la presidente' o 'la direttrice' ci suona strano mentre usiamo comunemente termini come 'la badante' o 'l’attrice'. E, soprattutto, ho guardato al numero impressionante di casi di violenza sulle donne, dagli stupri ai femminicidi". "Quando Giorgia Meloni chiede di essere chiamata al maschile nonostante si identifichi del tutto in una donna, quando alza il sopracciglio ascoltando chi parla di pari opportunità, e persino quando sostiene che lei non subisce la cultura patriarcale, io sorrido con sincera empatia perché so benissimo quale sia il contesto culturale che l’ha portata a questo". La premier, conclude la dottoressa, è sì "un esempio positivo potentissimo per le ragazze" ma "è lei stessa vittima di condizionamenti culturali derivanti da un mondo misogino e maschilista. Mi auguro che anche lei, per il bene del nostro Paese, riesca presto ad aprirsi al dubbio e all’ascolto".
 

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