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Marco Travaglio: "Patriarcato? Perché la nostra è una società spappolata"

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Marco Travaglio controcorrente. O meglio, contro la tesi di sinistra. Ospite di DiMartedì il 28 novembre, il giornalista parla del patriarcato al passato, come "un'impalcatura sociale, un sistema di valori, di principi e di regole che ora sono considerati dei disvalori". A suo dire, in collegamento con Giovanni Floris su La7 "è la fine del patriarcato che ci ha lasciati una società spappolata, di individualità lasciate a se stesse. E quando si ritrovano una donna emancipata, libera e padrona di se stessa, in certi casi impazziscono e danno di matto". Il riferimento è all'omicidio di Giulia Cecchettin: "Arrivare ad accoltellare una donna in quel modo, significa che succede qualcosa di malato. C'è un male assoluto in persone che fino al giorno prima...". 

Poi, tornando sui femminicidi, il direttore del Fatto Quotidiano ricorda che "ci indigniamo tanto, ma più pene di quelle già previste" sono impossibili. Il problema dunque è un altro e a riguardo Travaglio riporta un esempio: "L'altro giorno hanno scarcerato uno che doveva fare 30 anni perché aveva assassinato la sua fidanzata, dopo 6 anni, perché era obeso e fumava troppo, ma fagli una dieta in cella invece di mandarlo a casa".

 

 

Ecco allora che il giornalista cita l'ex magistrato Piercamillo Davigo: "Lui dice sempre che la giustizia è uno spaventapasseri: da lontano ti fa paura, ma man mano che ti avvicini ti fa ridere". Da qui il consiglio: "Se uno volesse aumentare la legalità, dovrebbe far sì che le pene effettivamente scontate in carcere assomiglino un po' a quelle scritte nel Codice e nella sentenza". 

 

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