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Dario Fabbri, Zelensky scaricato dagli Usa: "La controffensiva è andata malissimo"

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Siamo ai titoli di coda per Volodymyr Zelensky? Parrebbe proprio di sì. Dario Fabbri, direttore della rivista di geopolitica Domino, mette insieme la guerra in Ucraina e quella in Medioriente per analizzare il ruolo degli Stati Uniti, protagonisti in entrambi i campi di battaglia. "Gli americani vogliono da un lato che non si allarghi la guerra in Medioriente, e dall’altro congelare la guerra in Ucraina perché la controffensiva ucraina è andata malissimo", dice l'analista indipendente a Umberto De Giovannangeli che lo ha intervistato per l'Unità spiegando che "non solo non ha rosicchiato terreno, ma ha dimostrato come gli armamenti ipertecnologici che l’Occidente ha fornito a Kiev tramite la Nato, sono finiti nel mirino della Russia. I carri armati di produzione tedesca, in dotazione all’esercito ucraino, hanno subito ingentissime perdite nello scontro con la Russia.

L’impressione da parte americana è che il conflitto possa solo peggiorare per Kiev e che sia necessario trattare con i russi". Fabbri - che ha dedicato all'argomento il numero di Domino in edicola intitolato "Fronti di guerra globale" - ritiene che gli Stati Uniti non abbiano nessuna intenzione di impantanarsi e distrarsi "dallo scontro principale, quello con la Cina, nell’indopacifico".

Quanto a Zelensky "non vuole cedere, non vuole arrendersi e punta i piedi", dice all'Unità il geopolitico rivelando che "gli americani gli stanno già creando alcuni antagonisti interni, specie sui media anglosassoni. Coloro che oggi criticano maggiormente Zelensky, lo fanno sui media statunitensi o britannici". E poi, aggiunge Fabbri "c’è questo richiamo, invero un po’ beffardo, che arriva da alcuni politici americani, a celebrare le elezioni il prossimo anno in Ucraina. Se non fosse che non si capisce bene con quale crisma di legalità si potrebbero tenere elezioni libere, democratiche, partecipate in un Paese devastato dalle bombe. Ma al momento gli americani per distrarre Zelensky o cercare di metterlo in difficoltà, gli propongono anche questo".

 


Quanto al futuro della terra martoriata dallo scontro armato tra Israele e Hamas Fabbri concorda sul fatto che non è nelle intenzioni di Netanyahu aprire ad una soluzione “a due Stati”, né intende rimettere in gioco l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas. "Non si capisce quale sia il disegno d’Israele per il dopoguerra", conferma Fabbri a De Giovannangeli. "Alla mitologica soluzione a due Stati credo che ormai non creda più nessuno. È diventata un vessillo da sventolare che purtroppo non ha una sua reale sostanza". "Tutto ciò su cui Israele si concentra in questo momento", fa notare l'analista, "è ripristinare la propria deterrenza, possibilmente facendo pagare il prezzo più alto ad Hamas, distruggerlo mi pare alquanto improbabile.

D’altro canto", aggiunge, "è arcinoto che Israele ha favorito l’ascesa di Hamas, specialmente dal 2007 in poi, anche lasciando che arrivassero i finanziamenti del Qatar verso Hamas, perché era utile, come lo è tuttora, per dividere il fronte palestinese, alimentando la contrapposizione tra Fatah-Anp e Hamas. Ma quale sia il piano di lungo periodo d’Israele per la questione palestinese, questo non è chiaro. Perché quel piano semplicemente non esiste, se non quello di gestire la Cisgiordania sul piano militare con le infiltrazioni delle colonie". "Se potesse Israele", conclude Fabbri, "continuerebbe su questa strada, immaginando di occuparsi della questione più larga chissà quando e chissà come".

 

 

 

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