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Olindo e Rosa, Monteleone de “Le Iene”: "Certa stampa ha chiuso gli occhi"

Claudia Osmetti
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«Questa è una storia, ma per me è tutta la vita. Ho iniziato a seguirla a 33 anni, ora vado per i quaranta...». Antonino Monteleone è il giornalista de Le Iene che per primo ha “riaperto” il caso, sul quale ha scritto il libro “Erba. Verità, dubbi e misteri sulla strage” (ed. Piemme). È a New York, la notizia della revisione gli arriva «d’un colpo, all’alba. Mi sono emozionato e commosso».

Monteleone, la prima volta che se n’è occupato era il 2018. Cosa le hanno detto allora?
«La reazione è stata: “La magistratura ha parlato, che fate?”. Io credo che in una società sana non sia così. A inizio 2019 abbiamo fatto la prima puntata monografica e apriti cielo».

 

 

 

In che senso?
«Il problema non era due persone all’ergastolo, ma una trasmissione che se ne occupava. Per tanti anni sono stati riportati elementi come se fossero fatti e invece erano totali invenzioni».

Per esempio?
«Che Rosa e Olindo avessero detto in casa: “Come si sta bene senza quelli là”. È stato scritto e ripetuto, ma non esiste altrimenti sarebbe stato la colonna sonora del processo. Oppure che la macchina di Olindo avesse sangue su pedali, sedili e sul volante: falso. C’è una sola macchia che in diciotto anni non ha visto nessuno. O che Mario Frigerio abbia riconosciuto dal primo momento Olindo. Falso anche questo. Ci siamo accorti che la maggior parte delle persone non sapeva nemmeno che Rosa e Olindo non vivessero in quella stessa palazzina».

Scusi?
«Molta gente non aveva idea dei luoghi per cui si è bevuta la storia che Valeria Cherubini fosse stata colpita 47 volte al primo piano e poi sia riuscita a fare due rampe di scale per morire a casa sua. Da dove sono usciti Rosa e Olindo che per la sentenza sono andati a cambiarsi a casa, hanno impacchettato tutto e sono partiti per il falso alibi al McDonald’s di Como? C’è una serie di omissioni e fatti creati come veri che ha spento l’attenzione. A che serve?».

Le giro la domanda: a che serve?
«Guardi, non siamo eversori. Le sentenze le rispettiamo, le eseguiamo. Altro è stabilire se i media esercitino il vaglio critico al potere. Con quello politico lo fanno implacabilmente. Col terzo pilastro del potere questa “ferocia” si ferma. Sarà perché certi giornali non vanno in edicola senza i fiumi di pagine dalle procure?».

Adesso cosa succederà?
«Vedremo. Non è che come inizia la revisione sicuramente finirà con un’assoluzione. Io sono fiducioso. Se lo ricorda Giuseppe Gulotta?».

 

 

 

La strage di Alcamo? Vede delle somiglianze?
«Lui la revisione ha dovuto chiederla tre volte: a Caltanissetta, a Catania e a Reggio Calabria. Anche lui aveva confessato, anche lì c’era un testimone e ha fatto 22 anni in carcere da innocente. E anche lì c’era una parte di stampa che diceva bisognasse credere ciecamente ai magistrati. Ma i magistrati sono immuni all’errore? Le sembra possibile che in quindici anni nessuno è mai andato a cercare il carabiniere che ha trovato la macchia di sangue sull’auto di Olindo?».

Un po’ come chi non ha mai fatto quel numero sull’agenda di Puca per capire che non era di Tortora...
«Appunto. L’equivoco è che confondiamo i giornalisti di cronaca giudiziaria con quelli investigativi».

D’accordo. Però Rosa e Olindo hanno confessato, no?
«Sì. Ma tenga a mente che su 325 casi di persone mandate alla pena capitale o all’ergastolo, negli Usa, una volta su quattro gli imputati confessano un delitto che non hanno commesso. È un fenomeno più frequente di ciò che si pensi. Succede quando subisci pressioni».

Quali per i coniugi Romano?
«La liberazione anticipata, lo sconto di pena, rimarrete -insieme, la cella matrimoniale... Senza arrivare al livello successivo».

Quale?
«Il complotto. In tutti gli errori giudiziari il complotto non c’era. C’erano persone animate dal desiderio di risolvere un caso che hanno ritenuto di concentrare gli sforzi in una data direzione. Non riguarda solo Erba. È un processo abbastanza imbarazzante anche quello di Massimo Bossetti. Le dico di più».

Prego.
«Adesso Rosa e Olindo non sono “gli assassini”. La revisione stabilisce che quando viene emesso il decreto di citazione i condannati retrocedono al ruolo di imputati. Come li trattiamo? È cambiata la loro dignità».

 

 

 

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