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La parola della settimana: Biancaneve. Ecco perché

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Massimo Arcangeli
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Trent’anni fa uno scrittore satirico americano, James Finn Garner, riscrisse in chiave scherzosa alcune fiabe famose (Politically Correct Bedtime Stories. Modern Tales for Our Life and Times, 1994) per irridere alle già folte schiere di sentinelle della pubblica morale armate dall’indottrinante omologazione globale a difesa dei diritti delle donne, degli animali, delle minoranze (etniche o sessuali, religiose o culturali, anatomiche o funzionali).

Cappuccetto Rosso, nel libro di Finn Garner, era una ragazzina dalla sessualità precoce, una femminista in erba: dà del sessista al lupo, perché ha osato metterla in guardia contro i pericoli corsi da una bambina sola nel bosco, ma poi, impietosita dalla sua condizione di emarginato, rinuncia a infierire; quando il taglialegna, che preferisce lo si definisca log-fuel technician, irrompe in casa della nonna, brandendo un’ascia, gli dà dello specista e anche a lui del sessista, imbastendo un pistolotto moraleggiante sulla capacità di una donna e di un lupo di risolvere i loro problemi senza alcun bisogno dell’intervento maschile (la nonna, infiammata dal discorso della nipote, sbuca improvvisa dalle fauci dell’animale e decapita il boscaiolo); mette su, alla fine della storia, una famiglia anticonvenzionale (lei, la nonna e il lupo).

 

 

Nell’irridente libretto di Finn Garner ce n’era anche per la favola di Biancaneve, la principessa protagonista del primo lungometraggio d’animazione targato Disney (Snow White and the Seven Dwarfs, 1937): la già perfida matrigna, colpita dalla sua vicenda, solidarizza con la giovane e finisce per condividere la mela con lei, dimenticando di averla avvelenata; i sette nani di un tempo si riscattano dal loro handicap, nobilitati dall’appellativo di vertically challenged men; l’aitante principe, dal testosterone così alto che gli è bastato baciare la fanciulla per risvegliarla dal coma, si trova a un certo punto costretto in ritiro nel tentativo di guarire dalla sua impotenza. I deliranti eccessi politically correct del femminismo parodiato da James Finn Garner sono da tempo la nuda e cruda realtà. Ci mancava solo Paola Cortellesi a ricordarcelo. 

 

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