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Elena Basile rincara contro Liliana Segre? Non possiede nemmeno l'istinto di conservazione

Giovanni Sallusti
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Elena Basile, evidentemente, non possiede nemmeno quell’istinto di conservazione banale, pre-razionale, che semplicemente t’impone, una volta toccato il fondo, di non iniziare a scavare. Non si spiega altrimenti come, dopo essersi beccata l’annuncio di querela da parte di Liliana Segre (matricola 75190 tatuata sul braccio ad Auschwitz, accusata dall’esimia diplomatica di covare atteggiamenti nazistoidi), non solo non si sia rintanata in qualche atollo della Polinesia, ma addirittura abbia rilanciato.

Primo tempo. Elena Basile, ormai determinata a far apparire Alessandro Orsini un moderato con venature filoisraeliane, rilascia sui propri social l’ennesima video-intemerata. Questa volta vuole superarsi, per cui ecco l’ideona: prendersela con la senatrice sopravvissuta all’inferno in terra. Accomodata nel suo salottino (le «vostre tiepide case» di cui parlava Primo Levi), attacca subito: «Cara signora, è possibile che lei sia tormentata solo dal pensiero dei bambini ebrei? I bambini palestinesi non la toccano?». Peggio, va oltre, scomoda l’analogia esplicita, innominabile, immonda, quella tra la tredicenne scaraventata all’inferno e i suoi carnefici, e a scriverlo le viscere si contorcono: «Io inorridisco veramente- lei inorridisce, sembra humor nero, ndr - Sa che i tedeschi erano molto buoni con i loro bambini, i nazisti?». E infine la domanda diretta all’altra, il punto di non ritorno logico e morale: «Lei vuole imitarli? Sente qualcosa solo per la morte degli ebrei, ma non degli altri?». Interviene Luciano Belli Paci, il figlio della senatrice: chiede «misure riparatorie» elementari, la rimozione del video e la rettifica del contenuto delirante, qualcosa che chiunque avrebbe fatto, anche solo per salvare quel minimo di faccia rimasto.

 

 

 

MALEDETTI GIORNALISTI

Secondo tempo. Chiunque, ma non Elena Basile. No, lei manda una mail il cui contenuto riassumiamo sempre con le parole di Belli Paci, ché la cronaca supera qualsiasi letteratura possibile: «Sostiene che il pensiero di Liliana Segre sarebbe stato travisato da non meglio precisati articoli di stampa, a seguito dei quali sarebbe nato il suo video, e che dunque la senatrice dovrebbe chiedere a quei giornali che l’hanno fraintesa, e non a lei, di rettificare». Dadaismo integrale: «colpa dei giornali!», così, a casaccio, senza un chi, un dove, un quando, d’altronde in un mondo in cui la Segre viene accostata alla svastica vale letteralmente tutto, e il suo contrario. La senatrice, che si ostina a vivere in questo mondo, non può che procedere con la querela. E qui arriva il colpo di genio, la sparigliata che differenzia Elena Basile da un qualsiasi altro editorialista del Fatto Quotidiano, che a questo punto avrebbe rinculato, magari contando sulla benevolenza dell’organo giudicante verso la testata di riferimento. Macché, lei sfonda il muro della decenza, porta il concetto di nonsense a vette inesplorate, dettando serafica all’Ansa la perla ineguagliabile: «Le denunce e le querele alimentano il clima d’odio e di antisemitismo».

Lo riscriviamo, per focalizzarlo davvero. Le denunce e le querele alimentano l’antisemitismo. Imbecilli noi, che pensavamo che l’antisemitismo fosse alimentato ad esempio da equiparazioni storiografiche ubriache, come quella tra gli internati ad Auschwitz e i loro aguzzini. Riepiloghiamo invece il lineare percorso della diplomatica (che pare stare alla diplomazia come chi scrive alla fisica delle particelle). Insinuo che Liliana Segre sotto sotto sia una neonazista, perché pratica una morale selettiva su base etnica, con particolare riferimento ai bambini. Mi viene fatta notare l’enormità, io l’addebito genericamente ai “giornali”, la cui reputazione da quando ospitano personaggi come me è del resto ai minimi termini. La Segre mi querela, e io rilancio: querela antisemita! È avanguardia purissima, non puoi contrastarla, Elena Basile, puoi solo sperare, nel suo interesse anzitutto, che a un certo punto si palesino due nerboruti infermieri.

 

 

 

SCUSE TARDIVE

Terzo tempo. O meglio, fuori tempo massimo: in serata la firma del Fatto si accorge improvvisamente di essere andata oltre qualsiasi verosimiglianza (o più probabilmente glielo fa notare qualcuno a lei vicino), e verga sul sito del giornale travagliesco un travagliato pezzo di scuse. Adesso scrive alla Segre di essere «spiacente di questo atroce malinteso», anche perché nel frattempo si è «guardata le sue interviste che non conoscevo» (cioè l’aveva accusata di nazismo così, per sentito dire) e, incredibile dictu, «le sue parole umane mi hanno commosso». Ergo: «Chiedo umilmente scusa alla senatrice se l’ho ferita», ipotesi in effetti non del tutto da scartare, dopo aver sovrapposto la sua scala valoriale a quella delle Ss. Insomma, un caso da manuale di toppa peggiore del buco. Alla fine della pochade, resta una domanda: ma come diavolo li selezioniamo, i nostri diplomatici? 

 

 

 

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