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Gustavo Zagrebelsky, quante bugie sulla riforma del premierato

Francesco Damato
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E bravo il professore Gustavo Zagrebelsky, 81 anni da compiere a giugno, presidente emerito della Corte Costituzionale, come altri del suo rango, pur avendola presieduta davvero vent’anni fa solo per gli ultimi nove mesi del suo mandato di giudice della Consulta, che dura nove anni. Il nove dev’essere stato e dev’essere ancora per lui un numero magico. Nove d’altronde sono anche i mesi della gravidanza da cui nasce da sempre l’uomo, a meno di clamorose sorprese sul nostro passato preistorico.

Già scettico dal primo momento, sia pure in una chiave ironicamente ottimista che obbligò Repubblica, ospitandone l’articolo, a mettere sull’avviso i lettori, invitati a non credere davvero che la riforma del cosiddetto premierato fosse destinata per la sua popolarità a superare anche la prova del fuoco di un referendum confermativo; già scettico, dicevo, dal primo momento dietro una cortina di sarcasmo, il professore si è sempre più preoccupato della possibilità di un’elezione diretta del presidente del Consiglio. E dell’abuso che si vorrebbe fare, secondo lui, di un premierato che appartiene ad altre storie politiche e istituzionali, non a quella della Repubblica italiana.

Ora il professore sembra avere trovato l’argomento magico- come “le parole magiche” delle quali si lamentava ai suoi tempi Amintore Fanfani a proposito del dibattito politico fuori e dentro la sua Dc - da opporre al progetto di Giorgia Meloni. Leggetelo questo argomento pari pari come sviluppato ieri, sempre su Repubblica, dall’interessato: «Ogni sistema di governo deve valutarsi nelle condizioni date. Guardiamo come si svolge la lotta politica (si dice così: lotta) nel nostro Paese e in questo momento: propaganda sfacciata, fake news, intimidazioni e ricatti, dossieraggi, linguaggio d’odio, rimbambimenti. È pericoloso dividere i cittadini in due e aizzarne l’una parte contro l’altra. Chi penserebbe ancora alle elezioni come una festa della dignità dei cittadini, alla quale si partecipa indossando l’abito buono?».

E addirittura per eleggere direttamente il presidente del Consiglio, che è pur sempre il capo del Governo, con la maiuscola, nonostante il minuscolo, salvo poche eccezioni, cui ci hanno abituato partiti, correnti e sottocorrenti trattando prevalentemente dietro le quinte sulla sua nascita e sulla sua morte, magari con l’intermezzo di qualche rimpasto o fotocopia.

Nelle “condizioni date” di oggi, quindi, secondo il presidente emerito- ripeto- della Corte Costituzionale, non di un circolo di caccia, la maggioranza di governo uscita legittimamente dalle urne del 2022, meno di due anni fa, dovrebbe subire due volte i danni in corso di accertamento, sotto tutti i punti di vita, del dossieraggio cui parecchi suoi esponenti, e collaterali, sono stati sottoposti. I danni prima dello sputtanamento a dir poco tentato e poi della rinuncia alla principale delle riforme progettate – «la madre di tutte le riforme» nella definizione della Meloni - per una intossicazione del dibattito politico tale da avere compromesso la praticabilità delle elezioni. Che a questo punto - grasso che cola- non dovrebbero spingersi oltre un rinnovo delle Camere con le liste praticamente confezionate e boccate dai partiti, o movimenti che si offendono a sentirsi chiamare partiti.

Ho purtroppo qualche anno in più del professore eccetera eccetera Gustavo Zagrebelsky. Ho più modestamente fatto nella mia vita soltanto il mestiere del giornalista, o del “pennivendolo”, come ci chiamava la buonanima di Ugo La Malfa quando era di cattivo umore. Ma ho ricordo di parecchie, quasi abitudinarie campagne elettorali svoltesi con una certa animosità, a dir poco. A volte intossicate davvero: per esempio col sangue che spargeva per le strade il terrorismo, o con le irruzioni giudiziarie. E non ricordo un lamento, dico uno, dell’allora professore e altro ancora in servizio Gustavo Zagrebelsky, diventato adesso così schifiltoso. O così preoccupato- pardon - della nostra quiete politica ed elettorale.

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