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Leonardo da Vinci, Carlo Vecce: "Genio ribelle raccomandato da suo papà"

Lucia Esposito
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La vita di Leonardo da Vinci. Non del genio immenso, irraggiungibile e sovrumano. Ma del bambino selvaggio, del ragazzo ribelle, dell’uomo inquieto in mezzo agli altri uomini, calato in questo mondo, incastrato nelle piccole vicende di ogni giorno e immerso nel corso della storia.

Il professor Carlo Vecce che un anno fa ha annunciato al mondo intero e raccontato nel libro «Il sorriso di Caterina» (Giunti editore) che la madre di Leonardo era un’ex schiava circassa liberata alla fine del 1452 da un atto del notaio ser Piero da Vinci, il padre di Leonardo, ora ci dona una straordinaria biografia del genio. L’unica interamente aggiornata alla luce di tutti i documenti emersi nel corso degli ultimi vent’anni.

Carte dei suoi familiari, contratti, atti notarili, processi e denunce, dichiarazioni fiscali, ma Vecce attinge notizie e informazioni anche dagli stessi scritti di Leonardo. Documentatissima ma mai noiosa. Una ricerca scientifica con il passo del racconto appassionante della vita dell’artista e della sua inquietudine per trovare un posto nel mondo e della lotta per la libertà che ha inseguito fino all’ultimo giorno.

S’intitola Leonardo, la vita. Il ragazzo di Vinci, l’uomo universale, l’errante (Collana I fondamenti di Giunti Editore, pp. 660, euro 22) ed è un viaggio dettagliato nel cuore del genio poliedrico, dell’uomo che ha sognato e ha visto il futuro. Carlo Vecce, accademico dei Lincei, studia Leonardo da oltre trent’anni, eppure ne parla con lo stupore e la meraviglia di chi lo ha appena scoperto.

Professore, di nuovo Leonardo. È una delle figure più conosciute nel mondo, di cui crediamo di sapere tutto, eppure lei ogni volta ci sorprende. Quanto ha ancora da dirci quest’uomo così lontano nel tempo eppure sempre attuale? 
«Leonardo ha ancora tantissimo da dire. Lo studio da sempre, ma ogni volta che mi trovo davanti a un documento nuovo, ho la sensazione di essere solo all’inizio e che la strada è ancora lunga. Leggere i suoi manoscritti e seguire il filo delle sue idee, mi dà la sensazione di camminargli accanto. Nel corso degli anni ho cercato di occuparmi d’altro, ma poi c’è sempre qualcosa che mi riporta da lui. Leonardo è infinito e avvicinarsi alla sua vita è come entrare in un vortice da cui è difficile uscire».
Prima la madre, poi questa biografia che mette in evidenza il ruolo del padre. Perché più che delle sue opere, delle invenzioni, delle intuizioni, le interessa la vita?
«Se non lo capiamo come uomo, non possiamo comprendere nemmeno una piccola parte di ciò che ha fatto. Nei suoi scritti, ma anche nei documenti d’archivio, Leonardo ci spalanca delle finestre sulla vita di ogni giorno, sulle delusioni, sui fallimenti. E sul suo trauma originario. Mi interessa Leonardo bambino e ragazzo perché è da lì che viene tutto, lui non ha mai smesso di giocare».
Il fatto di essere figlio illegittimo e di essere cresciuto senza una famiglia?
«Leonardo ha vissuto con la sensazione di non appartenere a nessuno. Quel “da Vinci” che segue il suo nome vuol dire appartenere a un luogo ma non a una famiglia, non ha mai avuto il diritto di portare un cognome. Tutta la sua vita è attraversata da questo dolore. Leonardo non ha mai dimostrato questa sua irrequietezza. A differenza di Michelangelo il tormento se lo portava dentro. All’esterno comunicava solo serenità».
Come, concretamente, ha cambiato la sua vita questo tormento? 
«Non avendo nulla a cui appoggiarsi, era uno spirito totalmente libero. Questo lo si vede anche nella sua produzione artistica che si discosta dai canoni dei contemporanei e negli studi segue solo i suoi interessi».
Una libertà che però i suoi contemporanei non apprezzano, anzi... 
«La sua libertà lo portava a non finire i lavori che gli venivano commissionati e questo gli procurò la fama di essere un artista inconcludente e inaffidabile tra i suoi contemporanei. Ma lui voleva essere libero di immaginare, di viaggiare, di sognare».
Da questa biografia emerge il ruolo importante del padre Piero, finora visto sempre ai margini della vita di Leonardo. Come è riuscito a riscrivere il ruolo di Piero? 
«Uno degli studi sistematici che ho fatto è stato ripercorrere tutti i registri notarili di Piero, venti grossi volumi nell’archivio di Firenze. Da questi documenti è emerso che dietro tutte le committenze fiorentine di Leonardo c’era lo zampino di suoi padre. Nonostante quel figlio fosse “imbarazzante” per il processo di sodomia e perché come ho detto prima - era considerato inaffidabile, Piero cerca di aiutarlo nei contatti con i conventi che, più delle grandi famiglie, costituivano la maggior parte di committenti. Ginevra de’ Benci, la Battaglia di Anghiari, l’Adorazione nascono dai rapporti che Piero tesseva per Leonardo. Quasi certamente anche dietro Monna Lisa c’è il padre che era in contatto con Francesco del Giocondo. Piero vede il figlio in difficoltà e a un certo punto, cerca di introdurlo a Palazzo della Signoria per dipingere una tavola su San Bernardo di cui parla anche Dante nella Divina Commedia. Leonardo comincia a lavorare ma poi, in seguito alla Congiura dei Pazzi, lascia la città e ripara a Vinci».
Ma Leonardo sapeva di essere “raccomandato”? 
«Leonardo sapeva che c’era l’aiuto di suo padre anche se i rapporti diretti erano scarsi perché Piero aveva un’altra vita, si era sposato quattro volte e aveva numerosi figli a cui badare».
Nel libro, nella descrizione dell’uomo Leonardo lei parla anche di “fallimenti”. È una della poche volte che questa parola è accostata al genio. 
«Oggi l’idea del fallimento stride con il mito di Leonardo che consideriamo geniale, infallibile. Ma studiando la sua vita e le sue opere emergono tantissimi errori di Leonardo, anche nelle ricerche tecnologiche aveva seguito strade sbagliate e le aveva perseguite con ostinazione, continuava a inseguire questioni irrisolvibili per la sua epoca come il calcolo infinitesimale e la quadratura del cerchio. Al Duca di Milano, pur odiando la guerra, promise di realizzare una macchina di distruzione di massa, bombarde giganti».
Imbrogliava? 
«Era tutto un imbroglio, una scusa per trovare lavoro a Milano dove all’inizio visse in povertà. Lui sapeva che non le avrebbe mai realizzate ma non mentiva quando le immaginava, di più: le vedeva anche funzionare. Vedeva le cose pulsare, muoversi».
Perché non finiva i lavori? 
«Non gli interessava la realizzazione. A lui bastava l’atto della creazione, la scintilla dell’idea. La cosa più importante era creare».
Si annoiava facilmente? 
«Sì, perché lui sapeva già come andava a finire e quindi non gli interessava più. Sa qual è la parola più ricorrente nei suoi manoscritti?»
Quale? 
«Eccetera, eccetera, scritto abbreviato. Quando per esempio cominciava un ragionamento su un discorso di geometria, concludeva con quell’etc. etc.. Lo stesso accadeva nei dipinti: per esempio nella Battaglia di Anghiari a lui interessava dare un’espressione ai cavalli, il resto era solo un “eccetera”, lo lasciava fare agli altri. Infatti è un altro lavoro incompiuto».
Che cosa amava, invece? 
«Gli piaceva fermarsi giorni e giorni davanti a un albero per osservare il momento preciso in cui la gemma diventava fiore. Per scrivere per esempio il Codice sul volo degli uccelli se ne stava ore e ore sulla collina di Fiesole, il suo punto di osservazione preferito, e guardava gli uccelli planare, scrutava il volo ascensionale per costruire la macchina volante».
Che rapporto aveva con le donne? 
«La figura femminile è fondamentale nella vita e nelle opere di Leonardo. La donna è il tema dominante di tutti i suoi dipinti, perfino nell’Ultima Cena, San Giovanni è dipinto con una fisionomia femminile. La mia impressione è che dietro ogni rappresentazione della donna ci sia l’eco di sua mamma Caterina. L’unica donna che ha amato nella sua vita è stata sua madre».
Dopo la scoperta della mamma schiava e dopo questo libro che ha ridato a Leonardo anche un papà, che cosa vorrebbe ancora trovare su di lui? 
«Quando per conto dell’Accademia dei Lincei ho fatto un lavoro sulla biblioteca di Leonardo ho sperato di imbattermi in qualche sua annotazione, ma non è stato così. Mi piacerebbe trovare un suo manoscritto che dicesse qualcos’altro sulla sua vita».
Se potesse incontrare Leonardo e fargli una sola domanda, che cosa gli chiederebbe? 
«Se lo incontrassi non riuscirei a dire una parola. Come quella volta che un mio compagno di università mi portò da Eugenio Montale e io rimasi zitto tutto il tempo».
Professore, confessi, è un po’ innamorato di Leonardo... 
«Mi affascina, mi emoziona, mi sorprende. Quando ho scoperto di sua madre Caterina per anni ho lavorato in silenzio. Dovevo scrivere il libro, potevo parlarne solo a mia moglie. Le raccontavo di questa donna forte e selvaggia venuta da lontano che ha messo lo straordinario Leonardo e lei un po’ si ingelosiva. Tuttavia, non riuscivo a pensare ad altro».

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