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Fenomenologia di Scurati, travolto dalla potenza di M.

Luca Beatrice
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Il vero problema di Antonio Scurati si chiama Roberto Saviano. Entrambi originari della stessa città, Napoli, con il secondo più giovane di dieci anni, assurto alla popolarità fin da ragazzo, Saviano rappresenta davvero un paradigma per il collega Scurati: scrittore di successo, volto tv, sotto scorta perché si suppone minacciato dalla camorra, autore cinematografico e televisivo, giornalista, uno che ha sempre un’opinione su tutto, tra i pochi narratori italiani che lo riconoscono pure al mercato, gli chiedono il selfie, stanno in fila al Salone del libro per assistere ai suoi sermoni. Il romanzo, beh quello è un simulacro, vive ancora di rendita per Gomorra e tanto basta che già azzeccarne uno non è mica facile.

 


Scurati non ce ne sta a tutta la celebrità del suo concittadino, i due da tempo fanno a gara a chi ce l’ha più lungo, e una cosa l’ha capita: la figura di scrittore puro non basta più, devi diventare altro, un simbolo della passione civile, una vittima così finalmente ti segneranno a dito anche chi, tra gli scrittori italiani, conosceva solo Saviano, quindi non lo zoccolo duro dei lettori che seguono, ad esempio, Mari, Piperno, Starnone, insomma quelli che amano davvero la letteratura. Nella sua mente lo scrittore è un titolo di merito acquisito per proporsi in quanto personaggio e dopo anni di lavoro strategico ci è finalmente riuscito, raggiungendo il trionfo nei pressi dello sgangherato 25 aprile.

 


Classe 1969, laureato in filosofia a Milano, specializzazione a Parigi, dottorato a Bergamo, esordisce oltre vent’anni fa nel mondo delle patrie lettere con Il rumore sordo della battaglia, che si potrebbe definire un romanzo storico, ambientato ai tempi del Savonarola. Nel 2005 vince il Premio Campiello con Il sopravvissuto, liberamente ispirato a un fatto di cronaca nera americana, il massacro della Columbine School, la cui vicenda viene trasposta in Italia. Il primo Scurati non inventa ma rielabora, osserva la realtà per concepire le sue storie, ha insomma più la costanza del ricercatore che non l’inventiva del narratore puro. Con il successivo Una storia romantica del 2007 torna alla storia, questa volta il Risorgimento, premio Mondello. Per trovare una fiction vera e propria bisogna aspettare Il padre infedele nel 2014, benedetto dai pareri illustri di Umberto Eco e Walter Siti, la crisi di coppia, la confusione tra i sessi, maternità e paternità, però con il romanzo generazionale Scurati non è a proprio agio e nonostante la candidatura allo Strega è un libro che non funziona, stenta, non è la sua materia come avrebbe detto Mike Bongiorno. Resta cospicua la produzione saggistica e le collaborazioni ai giornali, Scurati è firma nota anche se la massaia ancora non lo riconosce al mercato, per lei esiste solo Saviano e ciò continua a rappresentare il suo cruccio.

 


Ciascuno di noi nella vita deve ringraziare qualcuno e per Antonio Scurati questo qualcuno si chiama Benito Mussolini. Nel 2018 esce il primo tomo di una trilogia dal titolo M. Il figlio del secolo. Del Duce ne esce un ritratto incredibile: umano, devastato, contraddittorio, visionario, carnale, talora rivoltante eppure acuto, intelligente, strategico, animalesco. In questo libro che pur documentato dal punto di vista storico si prende diverse libertà essendo un romanzo, il personaggio giganteggia, trionfa, seduce perché attratto dal male. Non mi pare affatto azzardata l’ipotesi che un lettore non eccessivamente smaliziato si innamori di questo suo Mussolini, il che non significa affatto che uno diventa fascista se legge M. , però il rischio della seduzione, dell’immedesimazione c’è, eccome.

 

 

Scurati vince meritatamente il Premio Strega e a cadenza biennale nel 2020 e nel 2022 esce con altri due volumi, meno belli perché l’autore deve essersi reso conto che questo Duce va abbassato di tono, va reso sempre più perfido e spregevole, insistendo sul lato farsesco. Ormai, però, la frittata è fatta, l’identificazione con M. è compiuta, Scurati non riesce più a liberarsi della potenza della sua creatura, ci rimane invischiato dentro e non può uscirne. Prova allora a rovesciare l’assunto, a trasformare il tema, dal fascismo all’antifascismo. E la fortuna lo assiste: per una volta legittimamente eletto dal popolo italiano arriva un governo di destra. Se ai tempi di Berlusconi trovavano lavoro imitatori e vignettisti, con Giorgia Meloni a dare il meglio di sé sono gli scrittori o i sedicenti intellettuali, ne esce una mezza dozzina al giorno, e Scurati che pure non è simpatico agli altri per il carattere presuntuoso e saccente, diventa (con un altro colpo di fortuna, lui deve tutto alla destra) il capataz degli antifascisti per tutte le stagioni. Finalmente il vento è cambiato, da quando il suo monologo imperversa negli ultimi avamposti di libertà e democrazia di questo Paese Scurati può finalmente insidiare la popolarità di Saviano, anche perché la camorra è irrilevante rispetto all’opposizione “intellettuale” al regime. Oggi Scurati è lo scrittore napoletano più famoso al mondo, lo intervistano ovunque o forse si intervista da solo, senza ovviamente parlare mai di letteratura che non è più territorio di competenza. Gli manca giusto l’imitazione di Crozza, anche se dopo il capolavoro di Checco Zalone che scimmiotta Saviano, farci ridere altrettanto sarà dura.

 

 

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