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Roberto Saviano & Co? Si credono grandi scrittori, ma la letteratura è altro

Luca Beatrice
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«Ah no, se Robbé non è stato invitato alla festa nun ce vengo manco io». Non è proprio una frase da letterato, a meno di non scomodare Trilussa o il primo Pasolini, però più o meno questo si sono detti al telefono o per whattsapp gli scrittori che, solidali con il collega lasciato a casa dai fascisti cattivi, hanno deciso di non partecipare con la delegazione italiana alla prossima Buchmesse di Francoforte. «Pioggia di rifiuti», secondo la Repubblica, al momento hanno detto no Veronesi, Giordano, Piccolo, Scurati che aveva già declinato in partenza e Buffoni, poeta che non conosco, inizialmente pensavo che il termine si riferisse a più persone. Una manciata su cento, non abbastanza per scomodare Giove Pluvio. Andranno per i fatti loro, non preoccupatevi, escono dalla porta e rientrano dalla finestra.

Non è bastata a Roberto Saviano l’onnipresenza ogni santo giorno al Salone del libro di Torino: come ha potuto permettersi Mauro Mazza, incaricato dal governo, di un così grave atto di lesa maestà e non portarselo in Germania a rappresentare una Nazione su cui sputa dopo aver infamato la città in cui è nato? E invece tutto ciò risponde a una logica, perché se si parla di scrittori in diversi sono fuori posto. La scrittura, infatti, è una cosa seria, presume studio, ricerca, innovazione linguistica, è un lavoro solitario sempre più spesso confuso con altre professioni: opinionista partigiano sullo stile calcistico, attivista (termine stupido, chiunque fa agisce, non è contemplato il passivista della penna o sulla tastiera), politico senza passare dalla competizione elettorale dove prenderebbe legnate. Per alcuni di loro, per Saviano in particolare, la qualifica di scrittore è davvero abbondante, le sue pagine non meritano certo di finire nelle antologie scolastiche, ha una lingua piatta e la tanto conclamata passione civile (paragonarlo a Leonardo Sciascia sarebbe un insulto per il siciliano) è più che altro passione per se stesso senza essere Brad Pitt.
Saviano mi ricorda quelli che vengono respinti davanti alle discoteche e allora fanno finta di telefonare al potente locale per passargli il buttafuori e farsi aprire le porte con mille scuse. Da non credere la reazione per il mancato invito. «Governo ignorante», ha gridato dal suo domicilio sconosciuto.

 

Vorrei rassicurare tante persone, si può vivere bene senza leggere Saviano e ci sono moltissimi altri autori contemporanei italiani degni di attenzione, tra quelli che non berciano in tv, che non minacciano gli oppositori politici, non ricattano gli organizzatori e non si sentono dei martiri. Ma ci arriveremo dopo.

Paolo Giordano, che si sente un perseguitato da quando lo hanno trombato alla direzione del salone torinese, fa lo spiritoso, «anche io non vado, ho judo» citando Elio e le Storie Tese. Rincara la dose Sandro Veronesi, con affermazioni gravi che tirano dentro il presidente del consiglio - ora, con tutto il rispetto per le patrie lettere, penso Giorgia Meloni abbia altro da fare - e parlano di “putiniana ipocrisia”.

Il capolavoro di giornata è però da attribuire a Elly Schlein, è in campagna elettorale e dunque ogni occasione torna utile. I passaggi salienti della sua dichiarazione, «c’è un clima non accettabile verso gli intellettuali e gli scrittori in questo Paese... voglio esprimere tutta la mia vicinanza e solidarietà a uno dei più grandi intellettuali che il Paese (regaliamole un dizionario dei sinonimi e contrari) ha». Eppure ci risulta che la segretaria del Pd abbia frequentato buone scuole dove sanno distinguere un “grande scrittore” da un imbonitore da paese questa volta con la minuscola. Elly Schlein dopo l’armocromista avrebbe bisogno di un esperto in letteratura italiana contemporanea che le stili una bibliografia minima da citare in pubblico per fare bella figura, qualcuno a spiegarle che Saviano non è un grande scrittore ma un piagnone insopportabile, che Veronesi da tempo ha perso la verve, che Giordano “one man book” è ancora prigioniero dei suoi numeri primi (l’avrà capita?).

 

Appartenendo per diritto acquisito all’élite culturale del Paese, Schlein si informi meglio su quali sono i veri scrittori italiani, e si che ce ne sono. Ha mai sentito parlare di Antonio Moresco, Michele Mari, Luca Ricci, Piersandro Pallavicini, Aurelio Picca, Gian Marco Griffi? No, perché scrivono e basta, non si lagnano, non vanno in tv, non cantano Bella ciao, non sparano minchiate a raffica, non si sentono assediati, non pensano di essere perseguitati dal regime, non vedono fascisti ovunque, ed è probabile che votino a sinistra.

Certo, per leggere i loro libri ci vuole impegno, concentrazione, tempo, mentre per andar dietro alle lagne dei saviani basta visualizzare un tweet o un post. La smettano, Schlein e gli altri di parlare di letteratura o di intellettuali, si limitino a difendere i compagni di partito, martiri raccattatori di voti tra gli ignavi, ma non parlino di cultura perché non ne sanno proprio nulla.

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