I miei primi 100 anni, Anna Maria Rusconi: "Io, donna architetto, comandavo operai e rifiutavo tangenti"
Anna Maria Rusconi è una centenaria “femminista”, nel senso nobile del termine. È stata una delle prime donne architetto (guai, però, a chiamarla architetta) di Milano, quando la professione era quasi esclusivamente maschile, e si è sempre battuta, lavorando e dando l’esempio, per difendere i diritti del gentil sesso nel lavoro, nella vita e nelle cattive abitudini patriarcali dello scorso secolo. Il carattere - anzi il caratterino - non le è mai mancato quando gestiva i cantieri e comandava decine di operai, e non gli manca nemmeno ora che si racconta. Brillante, vivace, appassionata, Anna Maria - che lo scorso settembre ha ricevuto l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano - ha un sorriso irresistibile e alterna ricordi dettagliati a frecciatine pungenti.
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Anna Maria Rusconi, complimenti.
«Per cosa, scusi?».
È in grande forma ed elegantissima. Si è vestita così per l’intervista?
«Ma no, è il mio solito abbigliamento. Bisogna curare il proprio aspetto a qualsiasi età, anche a 100 anni».
Come è avere un secolo?
«Mah, a me non piace molto: è un po’ triste, si fanno sempre le solite cose e quando non si ricevono le visite dei parenti si è spesso soli. Vivo qui a casa con la Filippa, che è...».
Scusi, perché bisbiglia?
«...sssstttttt, è la badante, mi fa compagnia giorno e notte».
Giornata tipo?
«Mi sveglio alle 8, faccio ginnastica, colazione, una camminata di un’oretta nel quartiere e poi pranzo. Nel pomeriggio riposino e relax».
Hobby?
«Mi piaceva leggere libri di storia e filosofia. Da un anno però mi è calata la vista, meglio guardare la tv, ma solo programmi culturali».
Si dice che per vivere a lungo vanno evitati i vizi. Vero?
«Insomma... Mangio poco, ma quando ci sono babà o cuneesi al rum non mi tiro indietro. E ogni giorno bevo un paio di bicchieri di vino. Ma solo bianco e fermo, eh».
Fuma?
«Ho smesso 30 anni fa quando mio marito Ferdinando si è ammalato. Ho appoggiato l’ultimo pacchetto sul camino e non l’ho più toccato».
A proposito del camino: questa casa è bellissima.
«Ci siamo trasferiti qui nel ’65: 200 metri di appartamento più 100 di terrazzo. L’abbiamo arredata noi, eravamo entrambi architetti. Prima stavamo in piazza San Giorgio in Palazzo».
Anna Maria, non si fermi nel viaggio all’indietro e torniamo all’inizio. Lei nasce il 23 settembre 1923.
«A Lecco, erano le 18 se vuole sapere anche l’orario. Ed eravamo in due».
In che senso?
«Ho una sorella gemella, Anna Lisa».
Scusi, ha o aveva?
«Capisco la sorpresa, ma è viva anche lei e sta bene. È in una Rsa nel pavese».
Meraviglioso. E siete ancora legatissime? Sembra perplessa...
«Non la vedo da 20 anni, però ci sentiamo al telefono. Sa, io e lei, eterozigote, siamo state sempre diverse in tutto: io ho studiato, lei no; lei faceva sport, io no; io ho sempre lavorato, lei no. Insomma, non siamo mai state molto affiatate».
Torniamo a lei. Diceva che nasce a Lecco.
«Da una benestante famiglia lecchese, i Rusconi: papà è un industriale e siamo ricchi».
Vivete nel lusso?
«La villa di famiglia è molto grande, per noi lavorano due cameriere e un uomo tuttofare, più la Cesarina che ogni giovedì viene per riordinare il guardaroba. Per spostarci abbiamo una carrozza con i cavalli e papà possiede pure un’auto: una delle prime Fiat Balilla, che durante la guerra nasconde nel fienile».
Altri fratelli o sorelle?
«Tutti maschi. E jellati».
In che senso?
«Il primo, Carlino, muore nel 1917 a nove mesi: la tata lo porta in azienda e accidentalmente respira un acido che lo soffoca. Il secondo, chiamato anche lui Carlo, muore a 50 anni, per le conseguenze del calcio di un cavallo in testa. Il terzo, Gianni, bellissimo ragazzo, a 18 anni cade in un crepaccio sciando e non c’è niente da fare. Camillo, l’unico fortunato, è vissuto fino a 90 anni e ha avuto 9 figli. E si è preso tutta l’eredità Rusconi».
Perché?
«Ai tempi noi ragazze, quando ci sposavamo e uscivamo di casa, perdevamo il diritto alla successione. Ci è voluta una legge nel 1975 per sistemare le cose. Assurdo. Sa io come l’ho scoperto?».
Come?
«Dopo il matrimonio dico a papà: “Ci dai i soldi per il viaggio di nozze?”. E lui: “D’ora in poi a te provvederà tuo marito”. Addio eredità».
Torniamo all’Anna Maria bambina.
«Sempre sui libri, amo studiare e leggere. Se mamma, di sera, spegne la luce per dormire, io accendo una lampada di nascosto, sotto il cuscino, per non interrompermi».
Primi fidanzati?
«Quando ho 18 anni i miei genitori cercano di rifilarmi un avvocato di Lecco di 40 anni, insistono perché lo sposi».
Matrimonio combinato?
«Una specie, ma rifiuto: “Scordatevelo”».
Scuole?
«Mi mandano dalle suore del Sacro Cuore a Bergamo, liceo classico. Dopo la maturità, però, c’è da scegliere cosa fare. Un giorno sento una ragazza che dice: “Sarebbe bello fare architettura”. Mi illumino: ecco la mia strada. Nel 1943 mi iscrivo al Politecnico di Milano».
E si trasferisce.
«Papà, e per questo non posso rimproverargli niente, mi paga tutto, anche una stanza in affitto a casa di una contessa».
Intanto c’è la guerra.
«Per due anni non si può frequentare, torno a Lecco e mi iscrivo a un corso di sartoria».
Mai rischiato la vita?
«Un giorno mi ritrovo in bici sul ponte Azzone Visconti a Lecco, mentre arrivano gli aerei per bombardare la ferrovia. Mi butto di lato, mi nascondo, poi arrivo dall’altra parte e trovo rifugio in una casa».
Finita la guerra lei riprende l’università e, al Politecnico di Milano, trova anche l’amore. Quello vero.
«Ferdinando Missaglia è un compagno di corsi, ci sposiamo nel 1949 e poi nascono Giulia e Gabriella».
Perché questa smorfia?
«Dopo il secondo parto, a 28 anni, rischio grosso e resto 40 giorni tra la vita e la morte».
Ha voglia di raccontare?
«Infezione alla vene pelviche del bacino e flebite. Ne porto ancora le conseguenze: indosso sempre calze elastiche».
Come riesce a guarire?
«Ho la febbre a 41, la penicillina non fa effetto e i medici mi mostrano una bottiglietta. “Arriva dagli Usa, è un antibiotico speciale, ma non l’abbiamo mai usato. Se vuole tentiamo: osi salva, o muore”».
Che decide?
«Accetto e guardo mio marito: “Se muoio promettimi che ti risposi con mia sorella”».
Ma come, proprio sua sorella che è l’opposto di lei?
«Infatti Ferdinando dice: “Noooo”».
La cura però funziona.
«Miracolosa, in pochi giorni mi riprendo».
E riprende anche gli studi.
«Mi laureo nel 1957, facendo miracoli con le figlie piccole, ma ne pago le conseguenze».
In che senso?
«Sto sui libri anche di notte e per restare sveglia un farmacista mi suggerisce di prendere anfetamine. Il risultato è devastante: alla fine peso 45 kg e fatico a stare in piedi. Ci metterò un po’ a tornare in forma».
Però è una donna architetto: strano in quegli anni, no?
«Le ragazze che studiano sono poche, credo di essere tra le prime a laurearmi in architettura a Milano: sono nell’Albo d’oro e mi hanno premiata per i 50 annidi professione».
A proposito: vuole essere chiamata architetta o architetto?
«Non scherziamo: architetto. Non è una consonante a difendere i diritti delle donne».
Vero. Lei i diritti femminili li ha sempre difesi dando l’esempio e combattendo, in famiglia e sul lavoro.
«Come una femminista, ma non politicizzata».
Torniamo alla sua professione: siamo negli anni ’60 e, anziché andare in studio, lei preferisce stare sul campo. Anzi, sul cantiere.
«Divento direttore dei lavori per appalti pubblici, gestisco gli operai, tengo i rapporti con le imprese. Mi sveglio alle 5 di mattina e guido fino ai cantieri. A proposito, sa che ho avuto la patente fino a 97 anni?».
Urca, complimenti. Continuiamo nel racconto: dove lavora?
«Casalpusterlengo, Novate, Vimercate: le scuole medie di quei paesi le ho costruite io».
Rapporto con gli operai?
«Mi faccio rispettare, mi devono dare del lei. Un giorno li trovo radunati fuori dal cantiere. “Che succede?”. “Oggi scioperiamo”. E io: “Ma quale sciopero d’Egitto, tutti al lavoro”».
Le danno retta?
«Certo. Anche perché con loro ho un buon rapporto di fiducia e quando i lavori arrivano al tetto si va tutti a cena a mangiare il risotto. E offro io».
Curiosità: guadagnava bene?
«Sarei potuta diventare molto ricca se avessi accettato qualche tangente: ai tempi era una consuetudine e io che dicevo no ero vista male. Ho sempre odiato la corruzione».
Mai fatto uno sgarro?
«Mai. Però a volte sono stata costretta a prendere soldi in nero, pur di essere pagata. E il risultato è che ora vivo con sole 600 euro di pensione...».
Fino a che età ha lavorato?
«Settant’anni: stando sempre nei cantieri mi era venuta la bronchite. Sa, non ho mai avuto una salute di ferro...».
Beh, detto da una centenaria in grande forma fa sorridere... Proseguiamo. Dopo la pensione si è dedicata alla famiglia: in quanti siete?
«Sono mamma di due figlie, nonna di tre nipoti, zia di dieci e bisnonna di tre».
Anna Maria, ultime domande veloci. 1) L’ultima volta che ha pianto?
«Non ho la lacrima facile: nel 2006 quando è morto mio marito».
2) Quale è il segreto per arrivare a 100 anni?
«Lavorare, studiare, tenersi sempre occupati. Io uso il cellulare, il tablet, Skype, mando e ricevo mail».
3) Che pensa dei giovani?
«Poveretti, sono una generazione malmessa».
4) Paura della morte?
«No, anzi. Sono curiosa di vedere cosa c’è di là».
5) Il periodo più bello dei suoi 100 anni?
«Quando ero bambina, spensierata e senza responsabilità».
Ultimissima: meglio questa Italia o quella del secolo scorso?
«Quella là sicuramente».
E architettonicamente?
«Venga con me sul terrazzo che qui dal settimo piano si vede bene. Guardi laggiù quei grattacieli storti e strani: sia sincero, le sembrano belli?».