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"Solo la verità lo giuro": la memoria stampata di Antonio Padellaro

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I libri di memorie sono un’operazione temeraria fin dal principio, la selezione dei ricordi è innanzitutto una sfida biologica, una questione che vorrebbe fare a meno della vivacità dei neuroni, un soprannaturale atto di fiducia verso se stessi, tanto che l’appunto di ieri diventa un passato remoto che in pagina sconfina nel mitologico, alla fine tra l’accaduto e il racconto c’è una tale distanza che tutto torna, per incolmabile distanza. Poi c’è l’inesorabile «fatto personale», quel tale che non dimentico (e non perdono), la conseguenza nella stesura dei ricordi è veloce come una freccia: si pregustano vendette, perfide chiosature, note a margine sul destino altrui, pugnalate postume finalmente a destinazione, un catalogo morto e vivente di cattiverie e carezze. Memorie, quante storie.

Il problema che ho davanti è il seguente: Antonio Padellaro ha scritto un «memoir», ma il Nostro è un tipo navigato e non ha commesso l’errore di prendersi sul serio, anzi ha usato il balsamico registro dell’autoironia tinta di nostalgia color pastello, cosicché il suo libro, Solo la verità lo giuro (Piemme), è una confessione piena e senza pentimento del delitto di fronte a Maigret: commissario, sono un giornalista. Simenon si sarebbe divertito a leggerlo, il libro di Padellaro, per la ricchezza dei quadretti di splendore e miseria, la densità della vita vissuta, le imprese «border line» di un mondo che quasi non c’è più. (...)

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