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J.K. Rowling, femminista senza se e senza trans

Costanza Cavalli
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La volevano pasionaria di sinistra, manipolatrice di questioni sociali, prigioniera del femminismo che piace alla gente che piace: inclusivo, fluido, moderno, quello della desinenza -a quando serve e dell’asterisco quando fa comodo, quello dell’apparenza appagante, quello dei sessi che non sono sessi se non per scelta, quello delle manifestazioni dell’8 marzo.

Se non fosse che conosciamo il femminismo perbene e che sappiamo quanto è ipocrita, ci illuderemmo che è diventato pigro e che la volevano come loro perché era una testimone di vaglia. Ma J.K. Rowling non è ipocrita, pigra men che meno e conosce le formule magiche, sa distinguere tra quelle che funzionano e quelle che sono dei bidoni e sa che non basta girare le parole e, zac, giustizia è fatta.

 

 

 

NESSUN ERRORE

Così, la sua battaglia la combatte dal 2018, quando mise un “like” al tweet di una certa Rachel, un’attivista laburista che si era riferita ai transessuali come “uomini con la gonna” e che denunciava la misoginia all’interno del partito. Il suo agente disse a Newsweek che era stato un errore, una roba da analfabeta digitale, insomma una boomer prima che si dicesse boomer. Ma da quel “like” c’è stata un’evoluzione e qualche giorno fa la scrittrice ha detto la sua sul match tra Angela Carini e l’atleta iper-androgina Imane Khelif. «A una giovane pugile è stato appena portato via tutto ciò per cui aveva lavorato perché è stato permesso a un maschio di salire sul ring contro di lei», ha scritto. «Le Olimpiadi di Parigi saranno per sempre offuscate dalla brutale ingiustizia fatta a Carini». D’altronde, per capire che Rowling non avrebbe abbandonato il campo bastava leggere la sua storia: aveva sei anni quando decise che avrebbe fatto la scrittrice, il suo primo racconto aveva come protagonista un coniglio malato di morbillo. La mamma le disse che era bello e lei si chiese perché, visto che era bello, non glielo pubblicasse. Testoni si nasce.

I post su Khelif hanno generato una slavina di indignazione. Come tutti gli altri: superato “l’incidente” del 2018, Rowling nel 2019 diede il suo sostegno a Maya Forstater, avvocato il cui contratto di lavoro non era stato rinnovato a seguito, tra le altre cose, di tweet in cui sosteneva che un uomo non potesse diventare donna. Cinquecentomila persone smisero di seguire l’account della scrittrice, l’agente di cui sopra ingollò un whisky liscio e lei per un po’ smise di twittare. Poi, si decise: da femminista paladina dei diritti Lgbtq+, è diventata una “terf”, che sta per femminista radicale trans escludente. Insomma, transfobica e ancorata a un’anticaglia, la distinzione biologica tra i sessi.

NON APRITE QUELLA PORTA...

Si è conquistata questo titolo che sembra uno scaracchio scrivendo “donne” invece di “persone che mestruano”, dicendo che aprire le porte dei bagni a qualsiasi uomo che si sente una donna significa aprire la porta a tutti gli uomini che desiderano entrare, osteggiando l’autodichiarazione per ottenere il certificato di riconoscimento del genere (un documento che registra il cambio di sesso sul certificato di nascita), criticando il primo ministro Starmer per aver abbandonato le battaglie delle donne. Se tutto ciò di cui un uomo ha bisogno per diventare una donna è dire che lo è, la conseguenza è che i transessuali entreranno nei reparti di ospedale, nelle case rifugio, nelle carceri e che, nello sport, gareggeranno contro le donne.

Inoltre, Rowling non ha mai detto niente di transfobico, anzi: «Le persone trans hanno bisogno e meritano protezione», ha detto. «Rispetto il diritto di ogni persona trans di vivere in qualsiasi modo che senta autentico, non provo altro che empatia e solidarietà con le donne trans che sono state abusate dagli uomini». Difficile dirle, oltretutto, che cosa vuoi saperne tu, ricca e famosa, della difficoltà dell’esperienza emotiva visto che Rowling è stata depressa ed è stata povera, ha dovuto chiedere un’ordinanza restrittiva per il primo marito, ha vissuto da madre single con un sussidio di disoccupazione, ha abitato in un quartiere a luci rosse di Edimburgo perché era l’unico buco che poteva permettersi. Ha ricevuto un “sì” dalla dodicesima casa editrice a cui aveva inviato il manoscritto di Harry Potter. La obbligarono a cambiare nome, perché, dicevano, i lettori sono diffidenti verso le scrittrici donne: Joanne Rowling divenne J.K. Rowling. No gender, appunto.

 

 

 

SCRITTRICI RIVOLUZIONARIE

Ma dopo le minacce di morte e il boicottaggio (del tutto vano) ai suoi libri, J. K. Rowling se ne sta lì, dall’alto dei suoi successi, i libri tradotti in 80 lingue, greco e latino compresi, e venduti a centinaia di milioni di copie e un patrimonio da un miliardo di dollari. Che le scrittrici inglesi siano state rivoluzionarie, per quello che hanno scritto e per il modo in cui hanno vissuto, da Emily e Charlotte Brontë a Mary Shelley, da Jane Austen a Virginia Woolf, da Agatha Christie a Doris Lessing, lo dice la storia. Se J. K. Rowling possa essere aggiunta all’elenco è troppo presto per dirlo. L’idea di una società che deve evolvere sui principi della convivenza e di una nuova concordia, e non di un dominio mascherato da democrazia, forse non sarà rivoluzionaria ma è certamente un processo complesso, non da ipocriti, da pigri men che meno.

 

 

 

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