Ora godono pure per il "fascio" morto di tumore

Ieri Berizzi ha varcato l’ultima soglia: quella di scagliarsi (moralmente) perfino contro un cadavere, quello di Maurizio Boccacci
di Daniele Capezzonedomenica 30 marzo 2025
Ora godono pure per il "fascio" morto di tumore
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No, decisamente non cerco il brivido dello scontro a distanza con l’acchiappafascisti Paolo Berizzi, talvolta – senza offesa – ridotto a caricatura di se stesso, inseguitore di (pressoché inesistenti) camicie nere fuori e intorno a lui, ma forse inseguito da insidiosi fantasmi (dentro di lui). Ogni giorno che il buon Dio manda sulla terra, il buon Paolo è lì, nella sua rubrichina su Repubblica oppure sui social, a indicare e denunciare portatori veri o presunti di fez e stivaloni.

Ieri Berizzi ha varcato l’ultima soglia: quella di scagliarsi (moralmente) perfino contro un cadavere, quello di Maurizio Boccacci. Chi era Boccacci? Antico militante di Msi e Fuan, poi di Avanguardia nazionale, in seguito fondatore del Movimento politico occidentale e infine di Militia, è stato un extraparlamentare di estrema destra. Un uomo di convinzioni lontanissime da quelle di chi scrive queste righe. Ma un uomo sconfitto sia politicamente sia personalmente: tanta marginalità, e poi una malattia terribile, un tumore che se l’è portato via a 64 anni. Ecco, nessuno chiedeva a Berizzi – ci mancherebbe – di pronunciare un elogio funebre. Né ha senso dimenticare i mille errori e le tante idee non condivisibili, e in qualche caso inaccettabili, di Boccacci. Ma era forse necessario dare la sensazione di celebrare la sua morte?

Lasciamo la parola a Berizzi: «Con la morte di Maurizio Boccacci, storico punto di riferimento dell’estremismo neofascista antisemita romano, già leader di Movimento politico occidentale e di Militia, la democrazia ha un nemico in meno. Perché i fascisti questo sono: acerrimi nemici della democrazia». Manca solo – ma non vorremmo dare suggerimenti a nessuno – uno sfregio sulla lapide e un ballo di festeggiamento con vista sulla bara. Sia chiaro: lungi da me attribuire a Berizzi intenzioni che non ha. Magari sono stato solo io – leggendolo o interpretando male le sue righe – a farmi un’idea sbagliata. Ma resta il fatto che, anche per il nemico più lontano, specie a morte avvenuta, non si dovrebbe mai cedere all’impulso di disumanizzarlo, di trattarlo come “non-persona”, come oggetto meritevole solo di odio e riprovazione. No, tutto questo dovrebbe essere estraneo agli spiriti più nobili e più sensibili. In ogni epoca della civiltà umana, c’è stato il culto dei morti. E – con eccezioni che dovremmo guardare con orrore – c’è stato quasi sempre il rispetto del corpo del nemico morto. O anche solo del nemico sconfitto, attraverso il riconoscimento dell’onore delle armi. E invece oggi mi pare che da certe parti nemmeno la morte attenui un’ostilità radicale e incancellabile. Mi sembra, lo dico con franchezza, qualcosa di orribile. Chi ha il dono della fede può non solo trovare consolazione (necessaria come il pane per gli esseri umani), ma anche dare più efficacemente un senso al nostro transito sulla terra. E quindi anche al transito delle persone meno vicine. Ma anche chi non ha certezze, e quindi cerca ma non trova o non è sicuro di trovare, e sta nel territorio agnostico del dubbio, può attestarsi su una linea di umanesimo laico, di rispetto profondo anche per chi è (o è stato) più lontano da sé, riconoscendo in lui qualcosa di se stesso, e in noi stessi qualcosa di lui. In fondo, dovremmo sempre provare nostalgia per un dialogo che non è stato possibile (e che ora è assolutamente precluso), per una conversazione che non siamo stati capaci di realizzare, per una stretta di mano non data o non compresa. La vita di chi resta e ha un minimo di sensibilità è segnata da queste tracce: l’assenza di chi non c’è più (di chiunque si tratti), il vuoto di una parola mancata o priva di un destinatario. Si preferisce invece odiare in modo assoluto, definitivo, incancellabile? Anche davanti a una tomba? Chi vuole lo faccia pure. Ma non in nostro nome, grazie.

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