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Il coraggio delle idee per evitare vittimismi

La destra ritrovi la voce e impari a farla sentire nei luoghi strategici. Senza questo scatto, resterà un eterno ospite in casa propria
di Spartaco Pupo*mercoledì 9 luglio 2025
Il coraggio delle idee per evitare vittimismi

3' di lettura

 C’ è stato un tempo in cui l’egemonia era un disegno politico lucido, un obiettivo a lungo termine. Lo aveva tracciato Gramsci, quando immaginava che la conquista della società civile fosse l’unica via per permettere al “nuovo Principe” - il Partito comunista – di prendere in mano le leve del potere. Lo realizzò Togliatti, rigido custode dell’ortodossia di partito e fautore di un’egemonia che ha segnatola cultura italiana. Un’idea potente, tradottasi in dominio capillare dei gangli culturali della nazione: cinema, teatro, letteratura, editoria, spettacolo, ma anche scuola e università. Per decenni, l’egemonia si è imposta come macchina di conformismo, strumento di massificazione, storia pubblica che continua a pesare sulle nostre identità. È un fatto che per ottant’anni la sinistra ha saputo costruire e alimentare un ceto intellettuale di estrazione militante, un’élite spesso intollerante verso quelle figure di “irregolari” che hanno preferito difendere la propria indipendenza di pensiero e che pure hanno lasciato impronte più profonde di tanti intellettuali cooptati e pronti a celebrare il potere che li nutriva. La sinistra ha anche saputo plasmare l’immagine pubblica del suo avversario. La destra è stata descritta come un concentrato di brutalità, ignoranza, nostalgia reazionaria, autoritarismo, xenofobia, ecc. Un ritratto a tinte fosche, quasi caricaturale, che ha però finito per trasformarsi in una profezia auto-avverante laddove la destra, intimidita, ha finito col comportarsi come la sinistra voleva che fosse, rimanendo imbrigliata in uno stato di sudditanza psicologica che ancora oggi fatica a scrollarsi di dosso. Del resto, a destra, pochi sono quelli disposti a denunciare l’incapacità della vecchia armatura ideologica della sinistra di parlare a una società che si mostra sempre più insofferente ai dogmi e ai sacerdoti dell’ortodossia progressista.


La destra dovrebbe tornare a pensare. Non per sostituire un’egemonia con un’altra, ma per ripristinare un autentico pluralismo di idee. Non basta vincere elezioni e accaparrare poltrone: serve ricostruire una “metapolitica”, riscoprire il valore della cultura non come qualcosa di accessorio rispetto alla politica, ma come dimensione del pensiero e orizzonte di valori da coltivare, trasmettere, reinventare.
Alla destra serve il coraggio delle idee e il superamento della vecchia mentalità che assomma il vittimismo al timore reverenziale. La vera sfida è riscoprire l’uomo nella sua tensione spirituale, oltre le statistiche e i miti salvifici. La cultura di destra è soprattutto questo: pensare il presente senza promettere, come fa la sinistra, paradisi futuri storicamente rivelatisi degli inferni, ma rimanendo fedele alla tradizione come continuità viva e opponendosi all’esotismo ideologico e all’universalismo.


Ma finché la destra rimarrà imbrigliata nei suoi vizi senza costruire scuole di pensiero, sarà complice del vuoto che denuncia. Non si può combattere lo strapotere di chi detta le parole e censura i significati se non si hanno parole proprie, idee solide, intellettuali pronti a esporsi e forze politiche disposte a valorizzarli. Non bastano i salotti autocelebrativi: occorre il coraggio di sporcarsi le mani con il reale. A poco serve invocare valori astratti: bisogna incarnarli con le persone giuste nei posti giusti. Altrimenti la cultura resterà ostaggio di chi predica umanità universale ma ignora i propri vicini, di chi parla di inclusione ma esclude chi non si allinea. La destra ritrovi la voce e impari a farla sentire nei luoghi strategici. Senza questo scatto, resterà un eterno ospite in casa propria.

*Prof. di storia del pensiero politico - Uncal e autore di “La destra e lo Stato”