In un tempo in cui tutto tende a essere utile, veloce e misurabile, la bellezza continua a ricordarci che esiste ancora spazio per l’incanto, la meraviglia e la luce anche nelle pieghe più oscure dell’esperienza umana. Lo sa bene un mio caro amico, che quando è felice per qualcosa esclama semplicemente: «che bello!». In questa piccola frase c'è tutto: lo stupore, la gratitudine e il riconoscimento che la bellezza - quando si manifesta - sa parlare al cuore, senza bisogno di troppe parole. È proprio intorno a questa idea che ruota il saggio di Enrico Castelli Gattinara, Cerca sempre la bellezza. Come il bello intorno a noi può darci la felicità (Giunti Editore). In una società spesso indifferente, la bellezza è diventata una risorsa fragile, da riconoscere e difendere. Ma occorre allargare lo sguardo: la bellezza non è solo piacere estetico ma anche termometro della qualità delle relazioni e del nostro livello di civiltà. Dove scompare la bellezza, spesso avanza il degrado.
Del resto, l’etimologia di “bellezza”, dal latino bellus (“grazioso”, “armonioso”), richiama un senso profondo di equilibrio e cura. La bellezza può allora intendersi come ciò che risveglia in noi un senso di pienezza e di appartenenza, un’esperienza capace di connetterci al flusso della vita e alla nostra interiorità, in modo autentico. Quando Dostoevskij, ne L’idiota, fa attribuire al principe Myškin la frase «La bellezza salverà il mondo», forse intuisce proprio questo: che la bellezza ci costringe a guardarci attorno con occhi diversi. Forse allude alla bellezza come segno della presenza di Dio nel mondo, anche nelle pieghe più sofferte dell’esistenza spostando il centro dal potere all’ascolto, dalla forza alla cura, dall’utile al vero.
Padova, presentata la IV edizione del "Festival della Consapevolezza"
Un evento diffuso nel cuore di Padova, un successo crescente di pubblico e critica che accompagna il Festival della Cons...Non ci offre una verità semplice, ma apre a una riflessione radicale sul senso dell’esistenza e sullo sguardo umano di fronte alla realtà. In una società segnata dal disincanto e dal consumismo, la bellezza sa rivelare ciò che il cinismo non vede: la fragilità, la meraviglia, la possibilità. E ci costringe a fermarci, a contemplare, a sentire. Vedere la bellezza non significa solo notare ciò che è piacevole, ma saper riconoscere come valore anche ciò che sembra trascurato o privo di importanza. Quando riconosciamo la bellezza - in un gesto di gentilezza inaspettata, nel sorriso di un bimbo, in una lacrima di gioia - ci apriamo alla possibilità di un mondo diverso. Siamo creature sensibili, capaci di empatia, compassione, meraviglia.
In questo senso, Dostoevskij sembra dirci che la bellezza può salvarci non perché ci sottrae al dolore, ma perché ci riconnette a ciò che di più umano c’è in noi e intorno a noi. E può così cambiarci, sanare ferite profonde e aprirci agli altri. Non riguarda solo ciò che vediamo, ma ciò che diventiamo. In un mondo ferito, la bellezza ci ricorda che non tutto è perduto. Nella bellezza di un paesaggio, di un volto, di un animale, si cela il richiamo all’eterno, un segno impresso nella realtà che risveglia nel nostro cuore un desiderio di infinito. $ un lampo che squarcia il velo del quotidiano, lasciando intravedere per un istante l’armonia originaria, quella che l’uomo ha smarrito ma continua a cercare. In questo la bellezza ha qualcosa di profetico. $ come un’eco del Paradiso perduto e un’anticipazione del Regno che verrà.