È morto ieri Giorgio Armani, tra le più grandi firme della moda nel mondo: aveva 91 anni. La camera ardente sarà allestita a partire da domani, sabato 6 settembre, a Milano in via Bergognone 59, presso l’Armani Teatro, e sarà visitabile dalle 9 alle 18 fino a domenica. I funerali si terranno in forma privata. Re Giorgio (così era stato ribattezzato nel 1975 dalla stampa inglese) se n’è andato con discrezione ed eleganza, così come ha fatto per tutta la sua lunga vita. È stato un gigante del Made in Italy, elemento essenziale dello stile italiano, l’unico in grado di liberare gli uomini dalla formalità rigida cui erano abituati ed emancipare le “donne in carriera”. Riservato, composto, per il “signor Armani”, come veniva chiamato da chiunque lavorasse con lui, moda e stile erano «la mia urgenza espressiva, il mio lavoro e un magnifico mezzo per potersi esprimere». La sua è una storia unica, come unica era la sua “divisa”, per decenni sempre la stessa: pantaloni scuri e maglietta girocollo blu.
Blu è il colore della forma. Non quello di Prussia, bensì di Pantelleria e Giorgio Armani che la geometria l’ha destrutturata, nell’andarsene da questo mondo ci lascia questa tintura tutta di mare, roccia e cielo. La sua ultima sfilata, la collezione Primavere-Estate 2026 – e siamo grati a Michele Ciavarella per l’impareggiabile cronaca redatta su Style – è la speciale armonia della dissonanza. $ appunto quel “mare che sta tra le terre”, il Mediterraneo, l’habitat proprio di Dioniso e dei delfini in cui lo sguardo di Armani squilla di scintille, di buganvillea e gelsomino. Lui – ritiratosi in casa, senza altra forza che l’amore per il lavoro dei suoi collaboratori – se l’è rimirata da lontano la sfilata, in streaming, al modo del Vegliardo della Montagna quando lancia all’assalto del basso mondo i propri devoti. E quell’assenza, nell’attesa di tutti, è sembrata la cerimonia di consegna di una legacy generatrice di ulteriore bellezza e di sempre più vivo stile. Nato nel 1934 in una famiglia umile, Giorgio Armani che conosce gli anni difficili della guerra, in quella disciplina forzata trova il viatico per l’essenziale, per il gesto misurato, per ciò che è necessario.
È un’estetica della sobrietà, la sua, ed è anche il crisma che deriva da una ben precisa qualità, quella di un’Italia – la sua Lombardia su tutto – già in cammino, anzi, in corsa, con le maniche rimboccate e la voglia di prendersi la vita, rinunciando coraggiosamente al pezzo di carta – nientemeno la laurea in Medicina – per misurarsi con quella che rappresenta, e par di udire in sottofondo Giorgio Gaber, la luccicante promessa traboccante di futuro. Non tanto la città, ovvero Milano in cui la famiglia si trasferisce nel 1949, ma più precisamente la vetrina de La Rinascente di Milano dove Armani comincia a lavorarvi – organizzando i manichini, posizionando le luci – facendone la bottega che tutto determina: il PIL, il successo, lo stile e – soprattutto – la vera scuola da dove tutto osservare e tutto soppesare: ogni tessuto, ogni piega, il gusto dell’equilibrio e la capacità di vedere prima ancora di disegnare. La bottega, propria del Dna rinascimentale, è dunque quella vetrina dove il suo talento s’amalgama in alchimia tutta di genio, economia e commercio. Se c’è un capitolo di cultura industriale dove l’intersecarsi delle discipline artistiche si conclama nel fatturato, questo è propriamente la Armani Spa che dagli anni settanta, con un capitale sociale di soli 10 milioni di lirette – quando Giorgio incontra l’architetto Sergio Galeotti con cui, nel 1975, fondano la maison – arriva a oggi, nello sproposito che tutti conoscono, nel capolavoro tutto italiano. $ in quel 1975, dunque, che Armani presenta la sua prima collezione uomo e cambia per sempre la moda maschile (e poi quella femminile) inventando la giacca destrutturata, fluida e leggera, senza spalline rigide. Un simbolo del suo minimalismo elegante. Negli anni ’80, invece, veste le nuove donne: dirigenti, manager, imprenditrici. Disegna per loro completi eleganti, con spalle accennate e pantaloni che non nascondono la femminilità, ma la affermano con grazia e forza.
Armani, insomma, regala alla donna il potere dell’eleganza. Fuor dal luogo comune lui sta alla giacca come Mary Quant alla minigonna. E il nostro orizzonte mentale adotta un nuovo codice, infatti, quando Paul Schrader gli propone di vestire Richard Gere in American Gigolo. Armani capisce che quella è la passerella più potente al mondo, Hollywood è appunto l’Impero irresistibile, e l’abito grigio chiaro del protagonista diventa leggenda (soprannominato American Gigolo’s Suit). Da quel momento in poi il ragazzo nato a Piacenza sulle rive del Po mette la sua firma sui costumi di ben oltre 200 film, Cate Blanchett con lui veste i tratti e le vampe di Artemide, tanto è minimal quanto divina, e i fascicoli di tutte le sue sfilate – anche a farne memoria storica, o antropologia applicata – sono l’album di un flash degno del Faust: “Fermati, attimo, sei bello”. E il bello è l’istante vivo di quegli anni ’90 del secolo scorso dove una studentessa di architettura, con le maniche del golfino Armani lunghe tanto da far corona alle dita, poteva entrare e uscire dal fotogramma di un film, da una tavola di Guido Crepax, dalla tastiera di un pianoforte a coda e così dalla passerella dell’alta moda per costruire un’idea di donna ancora più femminile, e sempre in punto di charme. E di essenza. Mentre molti designer si trasferiscono a Parigi o New York, lui rimane a Milano: «$ il centro del mio mondo, mi ispira da sempre». Fedele alla sua città: la vive ogni giorno, cammina nel suo quartiere, visita i laboratori. Milano in fondo gli somiglia: discreta, lavoratrice, mai troppo appariscente. Mai ha voluto vendere la ditta a nessuno. A nessun fondo, nessuna multinazionale, Armani ha costruito da solo un impero. La sua autonomia non è solo una scelta imprenditoriale: è un gesto da vero artista. Quando nel 1985 Sergio morirà, Armani non rilascerà interviste, ma dedicherà ogni collezione a lui. Da quel momento si chiude nel lavoro. Lavora 14 ore al giorno, tutti i giorni. Ma non c’è solo disciplina in lui: c’è amore, promessa mantenuta, lutto. Un lutto che oggi prende il colore del blu.