Re Giorgio, lo stilista che ha disegnato pure il futuro del suo impero

Nelle sue ultime volontà non c’è soltanto una divisione matematica dei beni accumulati grazie alla sua genialità, ma si concentra la classe di un uomo che ha fatto di discrezione e eleganza le vere essenze di vita
di Lucia Espositosabato 13 settembre 2025
Re Giorgio, lo stilista che ha disegnato pure il futuro del suo impero

(Ansa)

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La vita dopo di lui, il futuro di Armani quando Giorgio non ci sarebbe stato più. Il 15 marzo 2025 il grigio è scappato dalle passerelle per vestire il cielo di Milano e srotolarsi come un tappeto sulla testa di un uomo solo (si è sempre soli davanti alla morte) mentre chissà quali tempeste si agitano nel cuore di quell’anziano signore che, ormai vicino alla fine dei suoi anni, consegna le ultime volontà al notaio. Nei suoi occhi azzurri annacquati dalla ferocia del tempo sfilano i volti, gli sguardi, gli abbracci, le parole dette e quelle solo pensate dei parenti, dei collaboratori, degli amici e forse pure dei nemici. Gli deve essere passato davanti il film a colori della sua vita e lui era lì, solo, a disegnare la sua ultima collezione, a costruire la nuova architettura del suo impero. Nei cinque fogli scritti di suo pugno, chiusi in una busta color seppia e sigillati con la ceralacca rossa c’è molto più di un testamento, c’è il destino della sua visione, la sopravvivenza di un sogno. Ci sono il passato, il presente e il futuro che lui spera diventi eternità. Il 15 marzo è un sabato e questo è un altro di quei dettagli che fanno da ordito e da trama alla vita di Armani.

Non ha rubato tempo al lavoro, alle giornate convulse, agli appuntamenti, alle riunioni. Per congedarsi dalla sua creatura Armani ha scelto il silenzio di un giorno di riposo in continuità con una vita in cui la forma è sempre sostanza, l’eleganza coincide con la discrezione e il lusso si traduce in un’alchimia in cui ogni elemento basta a sé stesso. Nel suo testamento c’è molto più di una divisione matematica dei beni, non c’è il peso lordo e quello netto della bilancia, tot a uno e tot all’altro, come se il suo impero fosse uno spezzatino da distribuire in parti uguali, secondo il metro del denaro. Tra le righe di quelle disposizioni si svela tutto il mondo di Armani, in un intreccio inscindibile che è un abbraccio tra lavoro, amore e famiglia. Ed è questo continuo mescolìo di passioni, questo impastare il sudore con l’amore, fare del lavoro la propria famiglia e viceversa, la cifra della vita di Armani che si legge nel non scritto del suo testamento, tra le righe bianche, nei punti finali, nelle virgole e nella scelta di ogni parola. Nulla è lasciato al caso, nulla è superfluo, tutto è in perfetto, armonioso, equilibrio. I due testamenti (il secondo è stato depositato il 5 aprile, sempre di sabato) di Armani sono cuciti addosso alla sua esistenza di uomo, di stilista e di imprenditore.

Strategia, visione e programmazione. Come per un padre di famiglia, la sua preoccupazione è mettere in cassaforte il futuro della sua creatura, lasciarla nelle mani giuste. Ha chiesto che le attività siano gestite «con integrità morale e correttezza» e che non si smetta di seguire «la ricerca di uno stile essenziale, moderno, elegante e non ostentato». Si dice che si muore come si vive e adesso che Armani non c’è più, rileggendo il testamento, sembra di vederlo disporre, precisare, limare, affinare, cesellare e accompagnare come un direttore d’orchestra ogni movimento della sua orchestra. Ciascuna frase si incastra come in un puzzle nella costruzione del tutto. Mai pago, mai contento, con quell’attitudine alla precisione maniacale che sfiniva i suoi collaboratori, un’etica calvinista per cui il successo non è accumulare ricchezza ma il privilegio di poter esprimere un pensiero. Un testamento ordinato e preciso. Le sue volontà sono cristalline, non lasciano dubbi di interpretazione perché lui era così sin da quando curava le vetrine della Rinascente: si aggrappava a una scintilla creativa e non la lasciava fino a quando non dava una forma, la migliore possibile, all’idea. Stabilisce tutto, modalità, tempi e condizioni di una cessione delle quote da parte della Fondazione Armani, indica il periodo di tempo - quattro settimane l’anno - in cui il suo compagno Pantaleo Dell’Orco potrà usufruire del megayatch Main ereditato dalla sorella Rosanna e dai nipoti. Fa un elenco dettagliato delle opere d’arte e degli oggetti d’arredamento suddivisi per piano del suo palazzo in via Borgonuovo 21, dalla mensola cinese ai tavolini in legno fino alla collezione di fossili. E solo qui c’è una piccola concessione. Riconosce agli eredi la possibilità di scambiarsi i beni tra loro, purché siano d’accordo. Per il resto non c’è diritto di replica, il testamento dice sempre l’ultima parola. Quello di Armani è il suo autoritratto, la più dolorosa prova di eleganza e discrezione che ci restituisce l’essenza di tutta la sua vita.