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Roccella, ora ci mancava la polemica sui nomi degli animali

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Daniela Mastromattei
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Siamo stati con la Roccella quando è stata contestata al Salone del libro di Torino dall’intellighenzia di sinistra e dai “gruppettari” di Elly. Siamo stati con lei criticando duramente le parole della Schlein («bisogna tollerare il dissenso») perché da quel dissenso antidemocratico che impedisce a qualcuno di parlare si arriva dritti alla censura. Ma la ministra alla Famiglia e alle Pari Opportunità dal palco di Fenix, la festa dei giovani di Fratelli d’Italia, all’Eur a Roma, si è spinta verso un’analisi psicologica spicciola (non richiesta) su chi ha scelto di prendere un cane o un gatto e lo ama come un figlio. E sono tanti. Si dichiara «animalista» la Roccella, poi però dà la stilettata: «Quando mi capita di portare il mio cane ai giardinetti, sento gli altri padroni chiamare i propri cani “Eugenio”, “Riccardo” o addirittura “Giovanni Maria”».

Che male c’è. «È una confusione non casuale», spiega, «perché questo tentativo di appaiare i nomi che si danno ai bambini a quelli dei cani è sintomo di un desiderio di affettività e famiglia che evidentemente c’è, che però viene trasferito in maniera impropria sugli animali». Magari in alcuni casi è proprio così. Ma perché la ministra è voluta entrare a gamba tesa nelle dinamiche più intime di famiglie e single (per scelta o meno...resta nel libero arbitrio di ogni individuo)? Magari sì, qualcuno ha davvero bisogno di riversare sul proprio cagnolino il proprio amore. Chi lo vieta? Sui social qualcuno le fa notare che c’è «chi i figli non li può avere e ha chiamato il cane Ugo. Saranno pure cavoli suoi». E chi scrive: si può chiamare un bimbo Nathan Falco (riferendosi al figlio di Flavio Briatore ndr) ma non si può chiamare un gatto Piero? La ministra ha indelicatamente calpestato un terreno minato. Gli animali, come i figli, non si toccano, fanno parte della famiglia.

 


Per giustificarsi la Roccella ha ricordato che anche Papa Francesco aveva fatto notare che «dentro i passeggini trovi i cani oramai; è una spia della situazione che stiamo vivendo». È vero, pure il Pontefice aveva avuto da ridire sui nomi dati agli animali, ma perché legati ai Santi. E bacchettava chi amava incondizionatamente il cane o il gatto di casa se poi ignorava i vicini bisognosi. Era più un’analisi rivolta all’umanità sempre più individualista, che sta perdendo generosità e compassione. E quando una signora che gli chiedeva di benedire «il suo bambino» aprendo la borsa aveva mostrato un cagnolino, Bergoglio l’aveva sgridata (San Francesco d’Assisi, il fratello garante degli animali avrebbe avuto da ridire).
La ministra ha quindi ribadito la centralità della famiglia e della natalità. «C’è bisogno di una rivolta a difesa dell’umano», perché le basi «sono a rischio». E ancora: «Manca una cultura a difesa della vita». Ecco perché «la prima cosa che ha fatto il governo è stato mettere al centro la famiglia e la natalità». Va bene (forse) invocare il ritorno «a fare i figli», ma la ministra dal palco dell’Eur insiste: «Durante il Covid, come ha detto Pietrangelo, sono stati più garantiti gli animali rispetto ai bambini». I cagnolini potevano uscire a fare la pipì fuori invece che farla sul tappeto di casa... E meno male. In serata la ministra Roccella ha precisato di essere stata fraintesa: «E ora via alla prossima strumentalizzazione».

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